La scelta non è semplicemente coraggiosa. Dan Fredkin ha ribaltato le priorità e le gerarchie della Roma. Assumendo un direttore generale sui generis, Tiago Pinto, ha fissato un tendone ideologico dentro il quale tutti coloro che lavorano per lui dovranno restare. Comanda lui, il figlio Ryan, con qualche delega a Fienga e agli altri collaboratori americani. Esiste una struttura, esiste una logica, esiste l’As Roma. Tiago Pinto sarà un supervisore e un selezionatore di risorse umane. Si appoggerà su figure di riferimento che magari non avranno mai il nome sui giornali, lascerà a Morgan De Sanctis il ruolo già formalizzato di direttore sportivo, lascerà a Bruno Conti la competenza sui cuccioli del vivaio.
Come riporta il Corriere dello Sport, poi però vorrà sapere tutto. Se Pallotta era il maestro delle deleghe, Friedkin è il professionista del controllo. Inoltre Pinto avrà un occhio attento al bilancio e ispirerà mosse sostenibili, come faceva al Benfica dove ha portato in prima squadra Joao Felix. Lui sa calarsi in un sistema d’equipe, senza manie di protagonismo: al Benfica era Rui Costa il braccio destro, un fuoriclasse che lo aiutava nelle valutazioni più strettamente tecniche. Alla Roma è stato segnalato dalla società di consulenza manageriale di Charles Gould, specializzata proprio nel cosiddetto head-hunting, la caccia alle teste. Pinto poi non ama coltivare rapporti diretti con intermediari, faccendieri, agenti, giornalisti. Dal punto di vista economico per Tiago Pinto non è stato difficile accettare la proposta: al Benfica guadagnava 150.000 euro l’anno.