Giuseppe Giannini, terzo nella storia della Roma per gare giocate con la fascia da capitano al braccio, ha disputato 437 gare con la maglia giallorossa, realizzando 75 gol. Icona per un’intera generazione di tifosi, il simbolo dell’eleganza, un Principe che per 15 anni ha lottato sul campo per la sua Roma, vincendo tre trofei sfiorandone tanti altri.
Ai microfoni di Centro Suono Sport (101.5 Fm), nella trasmissione pomeridiana ‘1927 on air’, Capitan Giannini, sta ripercorrendo le tappe della sua carriera, dagli esordi all’Almas, al trasferimento in giallorosso, raccontando aneddoti, particolari, momenti indelebili della sua carriera con la Roma e con la Nazionale azzurra, il suo rapporto con gli allenatori e con i presidenti.
Ecco i primi tre capitoli della storia di Giannini
“La mia storia calcistica: dagli inizi sotto casa al tesseramento con la Roma”
“La mia storia calcistica inizia sotto casa, a Frattocchie, giocavo con amici e i miei fratelli. I classici palloni artificiali con scotch e carta quando non avevi il pallone di cuoio. Il mio primo tesseramento ufficiale è stato al Frattocchie, poi, dopo un torneo vinto contro l’Almas, Kriezu ex calciatore della Roma all’epoca era un osservatore dell’Almas e mi tesserò.
A 14 anni feci una sola stagione, a fine anno andai al Milan a fare un provino, Rivera mi regalò la maglia numero 10, mi portarono anche in sede a Milano, vidi le tante coppe rossonere ma Perinetti – ex dirigente della Roma – che aveva sentito parlare di me e di altri ragazzi dell’Almas come Giorgio Eritreo, si intromise nella trattativa e chiamò il presidente dell’Almas chiedendogli di farmi fare un provino a Trigoria. Una volta arrivato al Centro Sportivo giallorosso incontrai Romano, Spinosi, Turone, nei corridoi quei grandi giocatori che fino al giorno prima avevo visto solo sulle figurine. Era un giovedì, nel pomeriggio scesi in campo con loro, fu incredibile: feci una prova con le riserve della prima squadra contro gli altri grandi della Roma. Ricordo che in campo Benetti mi dava consigli e l’anno dopo me lo ritrovai allenatore della Primavera”
“L’esordio in Serie A, Falcao e l’importanza degli allenamenti”
“Il giorno dell’esordio contro il Cesena mentre mi scaldavo a bordo campo pensavo ai miei genitori, agli amici e ai tanti sacrifici fatti per arrivare a quel momento: all’esordio in Serie A. I compagni cercavano di tranquillizzarmi ma provavo tantissime emozioni, poi una volta entrato in campo l’attenzione si è focalizzata sulla partita e sul voler far bene. Ho preso il posto di Scarnecchia che, proprio come me, veniva dall’ALMAS.
Nella partita col Cesena cercai di lasciar passare una palla per Falcao ma sull’intercetto degli avversari subimmo gol. Il brasiliano andò a parlare con Viola consigliando di lasciarmi crescere nella Roma perché vedeva delle qualità importanti. Qualche giorno dopo quell’errore giocai un derby con gli Allievi Nazionali e feci una grandissima partita dando un segnale importante a tutti. Nei due anni seguenti, prima di arrivare a giocare per la prima volta da titolare, ho dovuto dimostrare allenamento dopo allenamento il mio valore. Tanti altri giovani hanno fatto questo percorso in prestito in qualche squadra minore, io sono rimasto. A livello giovanile ho vinto praticamente tutto con la Roma e con la Nazionale Under 16. La concezione del mio ruolo è cambiata proprio in quegli anni, il numero 10 è passato dall’essere l’ultimo rifinitore al fulcro del gioco”.
“Il mio rapporto con Liedholm, i grandi campioni, lo Scudetto”
“Il rapporto con Liedholm è sempre stato ottimo, vedeva che ero concentrato in allenamento e che fuori dal campo avevo un buon rapporto con tutti. Quando un giovane di ottime prospettive si allena con grandi campioni è normale che questi lo prendano sotto la loro custodia, spesso Conti, Falcao e anche Chierico mi chiamavano per fare le esercitazioni con loro.
Il Barone mi chiamava “Iannini” perché aveva problemi a pronunciare la “G”. Sapeva tutto quello che facevano i calciatori anche fuori dal campo, riusciva a leggere tra le righe comportamenti ed espressioni. Liedholm faceva sentire tutti coinvolti, aveva un rapporto molto diretto con la squadra ma ci lasciava abbastanza liberi fuori dal campo. Terminato l’allenamento spesso restava in campo con i giocatori, ricordo che calciava meglio di noi e questo ti portava a dare un peso diverso alle sue indicazioni perché acquisiva ancora più credibilità, specie agli occhi dei più giovani.
Ci raccontava degli aneddoti incredibili, era veramente un personaggio unico. Quando parlava alla squadra riusciva a cogliere le sfumature del momento, le sensazioni, trasmetteva sicurezza tenendo però sempre alta l’attenzione. Nell’anno dello Scudetto già da ottobre ci diceva che avremmo potuto vincerlo. Liedholm è stato certamente un grande gestore, ma anche un assoluto innovatore da un punto di vista tattico”.