NORDISTA ROMANISTA di Pino Vaccaro
Non è il mio allenatore dei sogni, ma oggi dico: giù le mani da Fonseca Paulo da Maputo. Merita rispetto da parte dei tifosi della Roma, non solo perché è il nostro allenatore, che è la base, ma per le mille vicissitudini che si è ritrovato ad affrontare. Chiamatele attenuanti, se volete: fatto sta che oggi la sua sembra essere una faticosa corsa a ostacoli in una realtà che storce il naso a ogni curva un po’ malandrina. Oggi la letteratura giallorossa racconta di un conflitto interno, anche molto ruvido, tra Fienga, il plenipotenziario in attesa di depotenziamento, e Paulo il monzambicano. Leggo, osservo, non ho il privilegio di conoscere né uno né l’altro, ma se la letteratura romanista non mente non ho problemi a dire che sto dalla parte di Fonseca l’africano. Non potrebbe essere altrimenti: ha preso una squadra in transizione societaria che per potenzialità della rosa avrebbe dovuto lottare tra il quarto e il quinto posto. Ha deluso maledettamente nella gara con il Siviglia, ma alla fine non ha aggiunto nulla alle aspettative, ma neppure le ha vanificate o disintegrate. È arrivato semplicemente dove la logica imponeva arrivasse. Doveva lottare per lo scudetto? Chi lo pensa, merita un Tso immediato con ambulanza già pronta ai piedi della palazzina di residenza. Mille infortuni ne hanno costellato l’esperienza e l’assenza di un Ds non può di certo rappresentare un valore aggiunto. Corsa in salita controvento. Se sprofondiamo in una dimensione più tecnica, resto un fan degli Allegri, Capello, Mourinho prima maniera. Mi sento più un viscido catenacciaro che non cacciatore di magia: i Santoni del “giochismo” non mi piacciono. Parola d’ordine: equilibrio. Meglio 1-0 che 4-3. Ecco a volte l’equilibrio in questa squadra è venuto meno, anche se poi con la versione del terzetto in difesa qualcosa sul piano della compattezza è certamente migliorata.
L’idea del dominio è antica come l’uomo e affascina, ma alla suggestione preferisco pragmatismo. A volte il mister ce l’ha, a volte sembra invece che la scuola portoghese prenda pesantemente il sopravvento nella sua parte più spettacolare, palleggiata, ma meno concreta. Quando il vento del Monzambico spira potente, le raffiche diventano alimento per le ripartenze altrui. Folate che fanno rabbrividire. Sì è visto anche ieri sera col Benevento: le due facce spettacolari e angoscianti di un gioco in cui l’equilibrio non è ancora ben dosato. Dal punto di vista emotivo però non si può che stare dalla parte di chi il vento a raffiche ce lo ha sempre pompato in faccia. Come sull’Everest. Che puoi dire a un allenatore che per colpe non sue si è ritrovato sconfitto 0-3 a tavolino per una lista sbagliata? Roba dilettantesca, da oratorio feriale. Chiunque sarebbe crollato in uno sconforto profondo, da precipizio. Nel frattempo il suo miglior attaccante sembrava essere stato venduto e il puledro di razza si era rotto il ginocchio per la seconda volta. Roba da film dell’orrore. Chi ama i film a lieto fine non può non amare Fonseca. Se all’interno della società qualcuno se l’è presa per le sue dichiarazioni su Record, allora continuo a essere dalla parte di Fonseca: nella forma ha sbagliato, avrebbe dovuto evitare il rimbrotto pubblico, ma nella sostanza ha ragione perché il terzino destro non è arrivato e in mezzo al campo la qualità non si è impennata. Mercato deficitario per le sue richieste. Se Fienga lo farà fuori, quantomeno il popolo giallorosso avrà avuto qualche strumento in più per poter giudicare il conflitto familiare. E a Fonseca l’africano non resta che una strada da percorrere per convincere Friedkin: equilibrio e risultati.