LA REPUBBLICA – G. ROMAGNOLI – Capita spesso di vedere persone sole sedute su una panchina con un cellulare in mano. Scorrono la rubrica per sentirsi meno sperduti, trovano conferma nei nomi, prima ancora che nelle voci. Poi magari chiamano qualcuno, anche se non hanno molto da dire, giusto perché chi passa sappia che non sono dei naufraghi. È capitato, per la prima volta nel campionato italiano, di vedere un allenatore seduto in panchina che fa più o meno la stessa cosa: Rudi Garcia al 34’ di Livorno-Roma. C’è un attimo fuggente in quella situazione in cui il suo volto mentre parla si mette di profilo e, inevitabilmente, non guarda la partita. È un istante memorabile. Se De Rossi si fosse girato a osservarlo avrebbe pensato: “Ao’, a quello nun je frega niente”. Poi Garcia spiegherà che non era così, tutt’altro: stava parlando con Bompard, il tattico.
Se il presidente della Roma fosse Moratti si farebbe dare i tabulati per verificare. Prendendo per vera la versione di Rudi, l’attimo resta pieno di significati e conseguenze. Ha scatenato ironie, ma è una cosa seria. Fotografa tre fenomeni: l’invasione inarrestata della tecnologia, la sovversione dei ruoli di potere e la malaugurata fine del momento supremo in cui un comandante è solo davanti alla storia e alla coscienza con il peso della decisione sulle spalle. Dimostra, in questo, che il calcio non è più metafora, ma semplice deriva della vita. La tecnologia, anzitutto. Nella stessa giornata di campionato mentre Garcia telefona, Benitez manda un tweet e Allegri perde la Facebook. Avevano una lavagna e ora hanno uno smartphone. Indossavano colbacchi e loden portafortuna e adesso sono damerini sponsorizzati finanche nel polso: se guardano l’ora non è per sollecitare la fine ma per mostrare la marca dell’orologio, come da accordi. L’allenatore scarica trecento filmati da YouTube, mette a confronto su schermo diviso due fasi di gioco, incamera dati.
Invece del foglietto con i rigoristi si porta in panchina un hard disk contenente un database e se va nel pallone che fa? Accende il televisore, compare Gerry Scotti e gli chiede: “Preferisce l’aiuto del pubblico o telefonare un a amico?”. “Chiamo Bompard”. E qui arriviamo alla sovversione dei ruoli. Finora si era visto il secondo, in panchina per sostituire l’allenatore squalificato, prendere la radio e chiedere istruzioni. I vice Conte rivolgersi al martello appeso in tribuna per farsi dire quali chiodi picchiare. E prontamente eseguire. Qui è il comandante in capo che si rivolge a un subordinato per sapere se, dal suo punto d’osservazione, nota un vuoto sulle fasce, se occorre fare più sovrapposizioni a destra dove il Livorno latita. Garcia sta a Bompard come Grillo a Casaleggio? Uno ci mette la faccia, l’altro la strategia? Nelle riunioni che decidono la tattica della Roma Rudi è un imperatore trasparente quanto deve esserlo Assad nel gran consiglio di Damasco, impigliato in un meccanismo infernale guidato da un branco di assetati che urlano: “All’attacco! Bombardiamoli senza pietà, tanto non c’è domani!”.
E qui arriviamo alla trista fine della solitudine decisionale. Un allenatore non è più un commissario tecnico, è al massimo un ispettore con una pletora di graduati al seguito (e talvolta al fianco, per non dire un passo avanti). Quando un presidente ne contatta uno si sente proporre un contratto per un’intera squadra: passi il preparatore atletico, passi il secondo, passi il cognato portafortuna. Ora ci sono il tattico, l’allenatore dei portieri, il motivatore. Perfino Berlusconi che tanto desiderava Seedorf si è fermato vedendosi proporre una lista di collaboratori tendente all’infinito. Da uomo di popolo ha ammesso quel che il popolo già aveva capito: “Questo non sa allenare e fa lavorare gli altri”. Pensavo fosse un’abitudine italiota: c’è uno che ci mette la faccetta bella e un altro che fa il lavoro sporco. Regia del noto cantante, tanto dietro la macchina da presa c’è l’aiuto che sa fare. Megadirigenti Rai che manco hanno il televisore, però ci pensano i capistruttura. Senza ubbie di assolutismo è un momento sacro e perduto quello in cui un uomo di responsabilità sale sul ponte sferzato dal vento, guarda la tempesta negli occhi e sceglie la rotta per la nave. Magellano annusava l’aria, Schettino telefonava. Rudi, torna a bordo, cazzo! Da solo, senza cellulare e senza tattico. C’è un uomo solo al comando. È la sua maledizione, è la sua estrema fortuna.