SPORTFACE.it – Un destino da calciatore solo apparentemente segnato. Romano, classe 2002, Flavio Cobolli si allena con il padre Stefano alla Rome Tennis Academy ma il tennis non ha fatto parte sin da subito della sua vita.
Cresciuto con il pallone tra i piedi, nel mito di Daniele De Rossi, “Cobbo” ha un passato da terzino destro nelle giovanili della Roma. Un amore forte, quello per il calcio (per i giallorossi in particolare), tale da non impedire che fosse comunque il cuore a scegliere per lui. Ed il cuore ha scelto il tennis. “Il pallone era la mia vita” – ricorda Flavio – “ed ero consapevole di essere fortunato a poter giocare nella mia squadra del cuore. Le cose andavano bene e sapevo che presto sarei potuto sbarcare nel mondo dei professionisti, ma avevo voglia di una nuova sfida. Mi chiamò Bruno Conti per dirmi che avrei avuto un anno di tempo per scegliere cosa fare del mio futuro ma dentro di me la decisione era presa. Avrei giocato a tennis, in un modo o nell’altro”. Quando senti un fuoco dentro, c’è ben poco da fare per domarlo. Appesi gli scarpini al chiodo Flavio Cobolli ha iniziato a lavorare sodo per diventare un tennista ed i risultati parlano per lui. La scorsa settimana ha vinto sulla terra battuta di Cuenca, in Ecuador, il primo titolo internazionale under 18 della sua carriera. “Sono contento sia per il risultato, che per l’approccio mostrato durante tutto il torneo” – dichiara soddisfatto Stefano Cobolli, padre ed allenatore di Flavio. “Era un Grade 1 piuttosto complicato, con diversi giocatori sudamericani sempre difficili da battere. Quando si gioca in altura il servizio diventa una componente fondamentale. Flavio è stato bravo a comprendere sin sa subito che non avrebbe dovuto concedersi passaggi a vuoto da quel punto di vista, subendo solo tre break nell’arco dell’intera manifestazione”.
Quella fra padre e figlio, nella veste rispettivamente di allenatore e giocatore, è una strada fatta di tanti “pro” ma lastricata anche da tanti “contro” e l’ex numero 236 del ranking ATP lo sa bene. “Abbiamo deciso di gestire la cosa per gradi, come era giusto che fosse” – prosegue papà Stefano. “Per due anni ho lasciato che fossero altri maestri ad occuparsi di lui. Sono ancora convinto che sia stata la scelta giusta ed il campo ci sta dando ottimi riscontri. Siamo partiti in due per questa complessa trasferta in Sud America, che oltre al titolo ci ha consegnato una nuova consapevolezza nei nostri mezzi. È mio figlio, è vero, ma devo ammettere che alcuni lati della sua personalità mi erano ignoti. Flavio parla poco, preferisce farlo in campo”. Un amore di famiglia, quello per il calcio, al quale ogni tanto Stefano ripensa con un pizzico di rammarico. “Da padre tifoso romanista, vedere Flavio correre con quella maglia era una gioia immensa. Tornava a casa, cenava e si piazzava immediatamente davanti a SuperTennis TV. Ho voluto che facesse la sua scelta, senza alcun condizionamento, e pur avendolo avvertito delle difficoltà che avrebbe incontrato in questo tipo di percorso, la racchetta ha preso presto il posto degli scarpini. Ricordo ancora quando mi telefonò Bruno Conti per confidarmi come non gli fosse mai capitato che un ragazzo di 13 anni abbandonasse la Roma per dedicarsi ad un altro sport. Mio figlio è fatto così, adora le cose complicate”. Costruire un tennista, si sa, non è affatto semplice, ma il coach della Rome Tennis Academy ha le idee piuttosto chiare. “I risultati, in questa fase della vita dei ragazzi, contano fino ad un certo punto. Vorrei che Flavio diventasse un uomo vero, con principi solidi, e sono certo che il tennis lo aiuterà molto in questo”.
Una promessa per arrivare in fondo e sollevare la coppa nel caldo cielo ecuadoregno. “Dopo il torneo di Barranquilla ho accusato un problema al polpaccio e mi sentivo stanco dopo aver giocato tutti i giorni” – racconta Flavio. “Ho fatto questa proposta a papà, che anche se un po’ titubante alla fine ha accettato. In campo ho dato tutto ciò che potevo, sono felicissimo sia per il risultato che per l’esperienza”. I tennisti, anche quelli più giovani, coltivano particolari riti scaramantici ed il sedicenne romano non fa eccezione. “La scaramanzia è una componente fondamentale nella mia quotidianità durante i tornei, devo essere sincero. A Cuenca ho mangiato riso e pollo per una settimana, arrivavo ai campi alle 8.30 di mattina ed esattamente alle 20.30 mi recavo alla transportation per tornare il albergo, tutti i giorni. Dovevo avere con me sempre quattro racchette nuove ed un nastro nero al polso che ho tolto solo in finale, dopo aver perso il primo set”.
Come papà Stefano, anche Flavio ripensa spesso alla possibile carriera da calciatore. “Da piccolo ero certo di voler fare il calciatore, a tennis giocavo poco. Con il passare del tempo ho cominciato ad appassionarmi e a prendere il tutto come una nuova sfida. Volevo riuscire in una cosa non semplice e lotto ogni giorno per raggiungere nuovi traguardi, come il mio idolo Daniele De Rossi. Con lui, anche Novak Djokovic è una immensa fonte di ispirazione per me. Prima di scendere in campo guardo i suoi video per caricarmi. In futuro sogno di giocare un match in uno Slam, magari il Roland Garros”. Infine alcune considerazioni sui primi mesi di lavoro alla Rome Tennis Academy. “Negli ultimi mesi le cose stanno andando bene, e l’accademia è il posto giusto per lavorare con papà. I maestri, gli addetti ai lavori e tutti i ragazzi con cui mi alleno sono persone eccezionali. Tengo in modo particolare a ringraziare Massimiliano Meschini, si parla poco di lui ma il suo lavoro è fondamentale”.
La storia di Flavio e di Stefano è appena cominciata. Un libro bianco con tante pagine da riempire e colorare con i sogni più belli. E con il tennis nel cuore.