Il tifoso e il proprietario: Pallotta

Il tifoso e il proprietario: Pallotta

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IL ROMANISTA – Ricominciamo da ieri sera. Ricominciamo dalla intervista di Thomas DiBenedetto a Mediaset nella quale il presidente in pectore della Roma ha parlato diffusamente di uno degli uomini che lo affiancheranno nell’operazione per l’acquisizione della società. Di più, dell’uomo che per primo in questa cordata a stelle e strisce ha pensato alla possibilità di prendere in mano la squadra giallorossa. «Uno dei partners, James Pallotta, che è una grande persona, un grande uomo di business, e che vive a Boston – ha detto DiBenedetto – è un partner per i Boston Celtics, ha avuto dei successi incredibili a livello personale. Tre anni fa, dopo che è tramontato l’affare Soros, James ha cominciato a sondare il terreno per comprare la Roma, poi c’è stato un rallentamento ma quando ho manifestato la mia volontà di entrare nella squadra ci siamo parlati, ci siamo messi insieme, mi ha dato la sua visione sulla squadra, che poi è la stessa mia. Lui ha molta esperienza con i Celtics, hanno trasformato una squadra che era in difficoltà in una tra le più forti del mondo, l’hanno resa una squadra campione. Questo è un gruppo di persone che ha avuto grandi successi, con i Celtics e con i Red Sox».
Fin qui DiBenedetto. Ma chi è esattamente James J. Pallotta? Il suo ritratto è stato tratteggiato già nei giorni in cui sono spuntati fuori i nomi dei soci di DiBenedetto. Ma ora vale la pena tornarci per scoprire meglio cosa fa l’uomo cha ha dato l’input all’operazione. Gli americani lo definiscono come un grande manager, un grande uomo d’affari e di sport. E pure uno “cool”. Sì, insomma “fico”. Quanto basta per avere rapporti con gente del calibro di Samuel L. Jackson (quello di Pulp Fiction) e Bono degli U2, che invitò in un celebre ristorante di Boston, il “Radius”, o con il quale è stato in un “box” privato al FleetCenter, meglio noto come Boston Garden, la casa, il tempio dei Celtics. Che sono uno dei simboli della città della quale lui è pienamente parte. E forse non è un caso che il suo ufficio si trovi a “Rowes Wharf”, ovvero il “molo di Rowe” dal nome del mercante e uomo d’affari John Rowe, il primo a sviluppare nel 1764 quella zona che all’epoca si chiamava South Battery, nome dato dai primi abitanti della città nel 17esimo secolo. Quello è il centro degli affari di Pallotta che, quando decide di staccare dal lavoro, ha modo di rilassarsi nella sua abitazione. Non proprio un appartementino, ma un autentico castello che decise di regalarsi nel 2005 e che fece parlare parecchio a Boston per via delle dimensioni della tenuta: circa 2000 metri quadri con 20 stanze, piscina, un piccolo teatro, un garage per contenere le sue 10 auto e un campo da basket (sport che ha pratica to all’università quando era un semplice tifoso dei Celtics). Costo dell’operazione? Circa 20 milioni di dollari. Tanti per la gente normale. Roba di poco conto per uno per il quale qualche anno fa era stata stimata una fortuna di un miliardo di dollari. Accumulata come? Con una carriera di oltre trenta anni nel mondo degli investimenti. Prima con la Essex Investment Management, poi con la Tudor Investment Corporation e quindi con la Raptor Capital Management, un fondo da 9 (secondo altre fonti 11) miliardi di dollari. Tempo fa gli americani lo citavano come uno costantemente classificato tra i primi 20 “hedge-fund” manager degli Stati Uniti e l’11esimo meglio pagato tra questi con una somma guadagnata nel solo 2004 pari a 195 milioni di dollari. Abbastanza da realizzare praticamente tutti i suoi desideri. Facile immaginare che tra questi ci fosse anche quello di entrare a far parte della squadra per la quale stravedeva fin da piccolo, i Celtics. All’epoca cercava di non perdersi neppure un incontro al Garden per vedere John Havlicek e Bill Russell, i suoi idoli. Nel 2002 Pallotta staccò un assegno di quindici milioni di dollari e divenne socio della Boston Basketball Partners LLC, ovvero della società che ha acquistato la franchigia più titolata dell’Nba riportandola ai vertici dopo un decennio in tono minore. Socio, ma pur sempre tifoso, tanto da finire sulle pagine di tutti i giornali americani durante le finali dello scorso anno contro i Lakers. Il motivo? L’attacco al commissioner della NBA David Stern. Dopo la sconfitta in gara 3, Pallotta si lamentò affermando che la lega doveva vergognarsi per gli arbitraggi. Uno sfogo che gli costò una multa da 100 mila dollari. Non solo un freddo uomo di affari, dunque. Pallotta è anche un passionale, uno nel quale il sangue italiano si fa sentire nelle vene. Origini che ha voluto tenere ben salde. James è piuttosto conosciuto nel North End, il quartiere di Boston dove più si respira l’aria del nostro Paese. Lì è cresciuto assieme alle sorelle Carla e Christine che oggi gestiscono il ristorante Nebo che si trova a pochi passi dal Boston Garden. Affari, sport, cucina, cos’altro c’è nella vita di James Pallotta? Il forte legame che lo unisce a Nick Buoniconti, ex campione di football americano che tra il 1962 e il 1976 giocò prima con i Boston Patriots e poi con i Miami Dolphins. Buoniconti ha dato vita al “Miami Project to Cure Paralysis” dopo che il figlio era rimasto paralizzato giocando a football. «E’ una grande persona, un grande uomo di business» ha detto giovedì di Benedetto, che si è affidato anche a Pallotta per realizzare il suo sogno: trasformare la principessa Roma in una Regina.

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