In silenzio è rimasto invece il calcio. La Procura della Federcalcio, ieri, giudicava “non lesivo” il video con le parole del centrocampista della Roma: ma in via Campania si valuta l’acquisizione del filmato per indagare sull’eventuale violazione dell’articolo 1, la slealtà sportiva per capirci. A Trigoria Nainggolan dovrebbe cavarsela invece con una ramanzina: Spalletti, che da regolamento interno deve decidere sulle eventuali multe come responsabile dello spogliatoio, lo raccontano non particolarmente indispettito dalla vicenda. Il club invece si è riservato di ricordare ai giocatori che il mondo in cui spendono i loro soldini è cambiato, che i social network su cui vivono non servono solo a scambiarsi i “mi piace” e che anche dietro due chiacchiere scambiate con qualche tifoso si nasconde l’insidia di una registrazione. Insomma, che si è calciatori 24 ore al giorno, e non solo al campo si limitano le responsabilità di un atleta.
Ma parlare di responsabilità diventa sempre più difficile quando c’è di mezzo un pallone. E sempre più difficile è pure distinguere tra gli ultrà e tutti gli altri, amalgamati in un unico tono di grigio. Il caso Nainggolan chiude una settimana in cui la parola d’ordine pare la stessa usata dal romanista: “Odio”. Quello dei tifosi del Pescara che incendiavano le auto del presidente Sebastiani: lo stesso che ha riportato due volte in serie A un club che non la giocava da 19 anni. E se pure c’è chi dubita che fosse ispirato da motivi sportivi, la vittima non pare avere riserve: «Non ritengo si possa arrivare a contestazioni simili, mi auguro che la cosa si fermi qui, ma se qualcuno è disponibile a subentrare posso vendere». E chissà che non alludesse a qualcosa di simile la curva del Bologna, firmando a Casteldebole uno striscione in cui avvertiva che «i giochi sono finiti » chiedendo ai giocatori di “Onorare la maglia”.
Una minaccia velata, mica come quella diretta, sbattuta in faccia ai laziali Keita e Tounkara. Chissà che effetto deve fare a due ragazzi di vent’anni, arrivare a Formello per allenarsi e trovare uno striscione che intima loro di «abbassare la cresta o ve la tagliamo noi». Soprattutto se a ispirare l’intimidazione firmata dalla curva (“CN12”) è una sciocchezza: una lite in discoteca – o allo stadio – con un tifoso, la “strafottenza” di rifiutare il saluto agli ultrà a fine partita.
A volte la follia dei tifosi contagia pure le proprietà. Quelle di Juve e Inter hanno preso ad accapigliarsi subito dopo la vittoria bianconera allo Stadium trasformando John Elkann e i proprietari nerazzurri in tifosi. «Stupefacente che l’Inter non sappia perdere, dovrebbe essere abituata », il graffio juventino. «Non comprendiamo perché la Juventus continui a riferirsi all’Inter quando la nostra attenzione non è mai stata su di loro», la sdegnosa replica nerazzurra (non firmata). Al vecchio derby d’Italia sarebbe bastata la coda delle squalifiche a Icardi e Perisic. Anzi, la corte sportiva d’appello ha “tagliato” ieri di un turno lo stop del croato: salterà solo l’Empoli, domani, mentre per il centravanti inchiodato dal referto del IV uomo Orsato, che ha riportato i suoi insulti all’arbitro – restano le due giornate di stop. E invece no: martedì, dopo aver posto l’accento sull’atteggiamento degli juventini in campo, InterChannel ha svelato il coup de théâtre: il video della punizione con cui Chiellini lanciava a rete Icardi fermata senza motivi apparenti dall’arbitro, mai trasmesso dalle tv. Poi la replica di Marotta, sul non saper vincere eccetera. Nainggolan non ha fatto altro che aggiungersi al coro.