LA REPUBBLICA – M. PINCI – E’ Roma-Napoli, ma vuoi per i colori delle squadre in campo, vuoi perché nella testa di tutti l’unica partita che conta è la finale di Coppa Italia di domenica, sembra quasi un Roma-Lazio. “Dopo un’altra stagione con l’amaro in bocca, l’unico imperativo è vincere la coppa”, è il messaggio di cui si veste la curva, quasi un ultimatum alla squadra in vista del derby più sentito di sempre. Meno diplomatico lo striscione apparso in Nord: “Vincete o scappate”, accompagnato dal coro “Se perdete la finale vi mandiamo all’ospedale”.
In curva ride inconsapevole Marquinhos, all’esordio in versione “ultrà”. Della sua presenza nel cuore del tifo romanista il resto dello stadio se ne accorge solo dopo un coro della Sud che lo saluta: “Olè olè, Marcos, Marcos”. E il giorno dei saluti al campionato offre anche l’occasione alla società giallorossa per far sentire la propria voce sul tema, delicatissimo, della discriminazione: “Uniti contro il razzismo”, è un messaggio che i giocatori portano stampato sulle maglie nel riscaldamento e che compare su tutti i cartelloni pubblicitari intorno al campo in quattro lingue diverse: un calcio agli odiosi “buu” contro Balotelli a Milano.
Ma a quella che è forse la più forte presa di posizione esercitata da un club contro il razzismo, è mancato l’appoggio dei tifosi. Almeno di quelli che hanno pensato bene di ricorrere a stereotipi offensivi per discriminare – è davvero il caso di dirlo – gli avversari partenopei. Purtroppo non basta la fine del campionato per mettere fine alla stupidità di alcuni