IL ROMANISTA (D. GALLI) – Scuote la testa Tonino Doino, il mago della ristorazione made in Italy in Florida. «Ma davvero a Roma dubitano di questa cordata?». Davvero. «Pazzesco». Tonino è l’incarnazione del sogno americano. E’ l’emigrante italiano, anzi romano (e romanista), che varca l’oceano, trova l’America e la porta a pranzo. Quando ha lasciato Montespaccato («ogni volta che torno, guardo prima il calendario della Roma»), aveva 20 anni. Adesso ne ha 50, e in tre decenni ha messo su a Miami assieme alla sua famiglia un piccolo impero. «Quaggiù chi lavora ha sempre successo. Bisogna solo avere voglia». Se nella capitale della Florida dici “Rosinella”, sanno cosa mangi. Mangi italiano. Chiedete a Totti e De Rossi, ma anche a Panucci e Nesta. Sono stati tutti ospiti della Doino’s family.
Mister Doino, da uomo d’affari italiano che vive negli Usa che opinione si è fatto sulla trattativa?
Vede, io conosco benissimo la mentalità americana. D’altronde, sono qua da trent’anni. Questi soggetti fanno business. Se comprano qualcosa, è per avere un ritorno. Non falliscono mai il loro obiettivo. Pensi ai loro successi nel baseball (i Red Sox di DiBenedetto, ndr) e nel basket (i Boston Celtics di Pallotta, ndr).
Qual è la loro forza?
Sono molto organizzati. Specie per quanto riguarda marketing e merchandising. Sento parlare di equiparazioni con Lotito, ma qui parliamo di personaggi di ben altro spessore. Questi non prendono una squadra sull’orlo del fallimento, come era la Lazio nel 2004, ma un club per il quale hanno investito parecchi milioni e che ora vogliono far vincere. Perché ci credono. Perché credono nel progetto di una grande Roma. Un progetto che poggia sul marchio. rebbe meglio entrarci, perché sarebbe una risorsa economicamente importante. Ma nessuno si tirerà indietro, nel caso in cui non ci si riuscisse.
DiBenedetto ha elogiato Totti. Forse perché…
…glielo dico io perché. Perché Totti non è solo un campione anche oggi che ha 34 anni. E’ un simbolo. Un’icona. Totti è come lo stemma della Roma. Stessa cosa. Io sono un tottiano convinto, d’accordo. Ma mi creda: a Miami, come pure ai Caraibi, lo conoscono tutti. Per davvero. E questo rende indispensabile la sua presenza per gli americani. Se vogliono investire sul marchio Roma, non possono fare a meno di Totti. Esatto.
Il marchio della Roma ha un valore enorme. Nel business plan americano ha un ruolo centrale lo stadio di proprietà.
Ovvio. Negli impianti a stelle e strisce si fanno più soldi con il merchandising che con il ticketing. I proventi che derivano dalla vendita dei biglietti sono la risorsa minore. Bar e ristoranti sono le attività più redditizie negli stadi americani. Per spiegarle, io ho un locale vicino alla casa dei Miami Heat. Quando la squadra gioca, si riempie.
Immaginiamo la sua soddisfazione, da italiano trapiantato negli States, quando ha appreso che degli americani volevano la “sua” Roma.
Più che da italiano trapiantato, da tifoso romanista. Sono stato contentissimo. Primo, perché so come lavorano gli americani. Secondo, perché credo molto in questa cordata. Tra i soci, penso che Pallotta sia il più bravo nella gestione sportiva. Certo, non hanno la bacchetta magica, gli servirà del tempo. Ma i risultati poi si vedranno. Mi creda, possiamo stare tranquilli.
Come mai negli Stati Uniti si parla molto poco della trattativa per la Roma?
Qua c’è l’abitudine di commentare solo quando il deal, l’affare, è concluso. Gli americani sono soliti tenere un profilo basso, specie quando stanno per realizzare un grande investimento come può essere la Roma. Non sono dei chiacchieroni. Vedrà che cominceranno a parlare quando l’operazione sarà conclusa. So che quando a Roma si è saputo che DiBenedetto aveva viaggiato in economy, qualcuno ha dubitato sulla sua solidità finanziaria. Ma gli americani, pure se milionari, non amano apparire. Magari hanno soldi a palate, però non portano il Rolex. Non so se mi spiego.
C’è chi pensa, addirittura, che se la Roma non arriverà in zona Champions, gli americani se ne andranno.
(Doino ride, ndr) Assurdo. Prenderanno la Roma anche se non dovesse qualificarsiper la Coppa Campioni. E’ chiaro che sarebbe meglio entrarci, perché sarebbe una risorsa economicamente importante. Ma nessuno si tirerà indietro, nel caso in cui non ci si riuscisse.