LA REPUBBLICA (E. GAMBA) – Visto che la Juve continua a vincere una partita dopo l’altra e a infierire sul campionato morto e sepolto (ieri ne ha matematicamente vinta la prima metà), viene da ripensare a quell’anomalo 1-1 del 20 ottobre col Genoa, il vero alieno in questo mondo altro: senza quel granello di sabbia che per un attimo ha inceppato un meccanismo implacabile, i bianconeri avrebbero davvero potuto puntare alla folle impresa di vincere sempre, di vincerle tutte, come hanno fatto prima e dopo quella notte strana e spesso senza dannarsi l’anima (ieri hanno dovuto farlo, però).
Intanto, le complicazioni di dicembre che avrebbero dovuto rianimare la Serie A sono state spianate: non solo la Juve non ha perso un punto ma non ha neanche preso un gol. È dal 3 novembre che non ne prende. Nel frattempo, ha ormai brevettato un modo inarrestabile per segnare: il cross per Mandzukic sul palo lontano, là dove il croato, mediamente grande e grosso più di qualunque terzino esterno in circolazione, sovrasta l’avversario, di testa o di piede (ieri, di testa), annientandolo con la forza dell’impatto. Ieri la meteorite croata si è abbattuta su Santon, che ha fatto la stessa figura che aveva fatto non più tardi di due settimane fa Asamoah. È finita 1-0 solo per una serie di coincidenze, compreso un gol di Douglas Costa annullato dal Var al 92’ per un fallo a centrocampo di Matuidi su Zaniolo. La Juve stavolta ha leggermente ritoccato il copione, perché la Roma poteva competere sul piano tecnico ma non su quello dell’aggressività, o semplicemente muscolare. O magari solo per non annoiarsi visto che, non potendo far altro che vincere, può togliersi lo sfizio di farlo in modi diversi. Così ieri anziché temporeggiare come al solito ha preso per il collo i giallorossi, rovesciandoglisi addosso quasi a corpo morto.
La Roma ovviamente non ha retto, pur non giocando malaccio nemmeno a livello concettuale, ripigliandosi poi nella ripresa e scacciando almeno in parte quell’idea di squadra fatiscente che si porta appresso, e forse pure dentro. Reggere, se la Juve gioca così, è comunque impossibile almeno per una formazione di medio cabotaggio del campionato italiano quale la Roma attualmente è: così le velleità di Di Francesco sono svaporate presto, Florenzi ha dovuto mettersi a fare il terzino e Schick molto spesso il centrocampista, piegati alle esigenze di una partita a rincorrere tenuta in vita solamente dalle coraggiose capocciate di Manolas e dalle parate di Olsen, volante e brillante come una cometa. Ne ha prese quattro di notevoli, l’ultima delle quali con una mano sola su incocciata a colpo sicuro di Ronaldo: è stato l’episodio spartiacque della partita, perché da lì in avanti (era da poco passata un’ora) è cambiato il corso delle cose benché non l’esito delle medesime, con un’unica conclusione da tirare: la Juve sa vincere in un modo e nell’altro, sprigionando potenza oppure arricciandosi in difesa, tirando il collo agli avversari oppure contenendone la furia come ha fatto negli ultimi 30’, concedendo a una Roma decisamente dignitosa (poteva forse aspirare ad altro, Di Francesco?) appena un colpo di testa di Cristante bloccato plasticamente da Szczesny, ma prendendosi l’impegno di tenere gli occhi aperti, le antenne dritte e gli allarmi inseriti: è un sistema utile per allenarsi, l’unico modo che ha la Juve di prepararsi alla Champions è di non ammazzare ogni partita nella culla ma di lasciarla vivere cosicché dia del lavoro da fare, delle cose da capire, delle situazioni da provare. Bisogna pur trovare un modo per passare il tempo