La Roma di ieri non era una squadra di calcio, ma un’orda di Bacanti che potevi fermare solo sparando narcotico dai cieli. Undici belve (lo stesso Lopez tra i pali, finalmente a viva voce) con i piedi fatati e i razzi nei lombi. Ho deciso di non credere che fosse vero. Che era tutta un’allucinazione del momento, che di là non c’era il Bologna ma una banda di cartonati che avevano incollato al suolo. Come scrive Giancarlo Dotto nel suo editoriale sul Corriere dello Sport, dev’essere capitata la stessa cosa alla Roma che rientrava dall’intervallo con le pantofole da siesta al posto dei calzari da guerra, spaventata da se stessa, si nascondeva al proprio furore temendo di dover i conti con una verità troppo audace da interpretare. Detto di tutti, detto dell’alcolico Spina, tre in uno, di Veretout, uno che sembra sputato da Stromboli, del Professore (Miki) e del Cigno (Dzeko), di Capitan Futuro (Pellegrini), della Furia (Ibanez) detto di Karsdrop che sembrava Asterix dopo aver bevuto la pozione magica, scelgo per Gonzalo Villar. Stupefacente. Rara bellezza e souplesse del gesto di uno che, a 21 anni, guarda le mischie umane dall’alto.