Un film visto e rivisto al cinema migliaia di volte. Lo spettacolo a cui abbiamo assistito ieri a Bergamo è qualcosa a cui purtroppo siamo abituati, e anche fin troppo bene. La proverbiale frase di Spalletti: “Sono 10 anni che fate figura di m…”, detta veramente oppure no, può essere contestata quanto si vuole, ma sono i fatti e i risultati a darle credito. Non mi addentrerò nella questione tra l’allenatore giallorosso e Francesco Totti, perché non c’è nessuna questione in ballo, oltre a quella montata ad hoc giornalisticamente per suscitare clamore attorno a posizioni già delineate: basta parlare di rinnovo, basta parlare di minutaggio, venerazione, ringraziamento, riconoscenza e quant’altro su quello che è stato il più grande giocatore di questa squadra, di questa città. C’è un allenatore messo per fare delle scelte, a prescindere dal fatto che siano condivisibili, e se qualcuno non è in grado di rispettarle non vuole il bene di questo club. Tornare sull’argomento ogni volta che il capitano scende in campo, oppure ogni volta che risulta importante con un goal o un assist è un’ingiustizia soprattutto nei confronti dei compagni, i cui 80 minuti precedenti vengono d’un tratto dimenticati. Ripassando al tema principale, anzi al problema principale, quello di alleggerire la tensione, prendere imbarcate, subire goal ridicoli, perdere la testa, fallire gli incontri decisivi è un copione che non tarda mai ad essere recitato, un appuntamento immancabile per ogni stagione giallorossa.
Facendo un’analisi retrograda infatti, possiamo constatare che anche nella stagione dello scudetto la compagine capitolina fu colpita dal tremore del grande salto: nel match decisivo sul campo della Juventus, gli uomini di Fabio Capello, storditi ancora dal pareggio subito in extremis nel derby di 7 giorni prima, sbagliarono completamente l’approccio, andando sotto di due reti dopo appena 6’. Fu solo una magia di Nakata e un quarto d’ora finale ricco d’orgoglio a ribaltare la partita e il destino insito in quel finale di campionato. Errori che si ripercuotono ogni anno, ma la cui origine rimane ancora ignota e inspiegabile. Anzi, a voler essere precisi, le cause di queste defaillance sono anche semplici, ovvero difetto di concentrazione e di mentalità vincente, ma ciò che non si riesce ancora a capire è quale sia la cura per questa strana malattia, che colpisce chiunque attraversa i cancelli di Trigoria, a prescindere dal nome che si porta sulle spalle, dalle qualità che si hanno, dai titoli raccolti nel proprio palmares. Un esempio su tutti? Edin Dzeko. 85 gol in 142 presenze al Wolfsburg, un titolo di capocannoniere vinto, ma soprattutto un incredibile Maisterchale portato a casa; poi il Manchester City, con 72 marcature in 189 partite, e un gol straordinariamente decisivo per riconsegnare la Premier ai Citizens 44 anni dopo l’ultima volta. Dall’estate 2015 è iniziata l’avventura italiana, ma quello arrivato nella capitale è sembrato essere un lontanissimo parente del centravanti bosniaco ammirato in giro per l’Europa. Una serie di prove inconcludenti e errori grossolani che lo hanno messo alla croce dei tifosi giallorossi. E come dar loro torto se quel ragazzone tanto atteso per anni ti delude sbagliando tutto quello che di più clamoroso esista?
E allora cosa bisogna fare per evitare di inciampare sempre sull’ultimo scalino e cadere inesorabilmente dietro? Questa soluzione in pochi la conoscono, forse nessuno. Intanto però bisogna ricominciare a rimboccarsi le maniche, concetto che sfugge invece di consolidarsi dopo una buona serie di vittorie. Ricominciare perché mercoledì è di nuovo campionato, e arriva una formazione, il Torino, in ottima salute. Ma soprattutto perché fra sette giorni c’è la sfida con il Napoli che, visti i recenti passi falsi, si è rivelata non più uno spareggio per il secondo posto, ma uno scontro chiave in casa giallorossa per confermare la terza piazza. L’Inter è infatti a soli quattro punti di distanza, e un passo falso contro i partenopei rischierebbe di compromettere la grande rimonta compiuta negli ultimi tre mesi. C’è da pensare alla Roma, il resto non conta.