LA STAMPA – S. DI SEGNI – Si trascinano da una vita, Zeman e la Roma. L’ossessione è reciproca, se è vero che il boemo ha tradito più volte la sua debolezza lungo il cammino e se ad ogni svolta della storia romanista è spuntata una supplica dal popolo: «Ridateci il sogno, ridateci l’utopia». Di questo amore in sospeso sono a conoscenza a Pescara, come nelle piazze dove il tecnico ha alloggiato: tra i suoi silenzi, per certi versi, non è mai riuscito a nascondersi del tutto. Allo Stadio Adriatico sono stati avvistati perfino nostalgici giallorossi, vecchi amanti del 4-3-3 e di tutto ciò che Zeman rappresenta.
Dopo settimane di depistaggi, dalla Capitale hanno fatto sapere che le percentuali del ricongiungimento sono «rilevanti», ma il valzer delle suggestioni è partito da un pezzo e il faccia a faccia di ieri con il dg della Roma, Franco Baldini, è servito a capire che l’accordo è vicinissimo: «Sì, ci siamo incontrati, ma dobbiamo rivederci» la conferma dell’allenatore. Non era il primo contatto, ma un incontro diverso dagli altri, perché sul tavolo c’erano programmi, idee, questioni pratiche. Le parti dovranno aggiornarsi: non c’è ancora intesa sulla durata del contratto (che la Roma vorrebbe di due anni anziché uno), ma l’ostacolo è superabile, tanto che Zeman avrebbe già comunicato le sue intenzioni al Pescara.
Il club di Trigoria ha in mente di annunciare la scelta entro tre giorni, il tempo per le alternative (Villas Boas e Bielsa) sembra scaduto. «Qualora venisse Zeman sarebbe una scelta a prescindere dagli umori della piazza», ha spiegato il direttore sportivo Walter Sabatini. La società vuole rivendicare la titolarità della propria preferenza, ma il ds è lo stesso del teorema: «Il calcio ha bisogno di eroi». Dunque, Zeman.
Perché il boemo sarebbe in grado di risvegliare un certo spirito romanista, riattestare l’indipendenza dal Palazzo, ripartire come Don Chisciotte. E pensare che proprio questo è stato uno dei motivi per cui fino a qualche settimana fa la strada sembrava in salita: la Roma americana si è imposta un profilo basso e con esso il proposito di non alzare mai la voce sulle questioni arbitrali. Volevano la rottura totale con il passato e temevano che Zeman potesse risultare un pericoloso ritorno al trapassato. Troppo nemico. Troppo personaggio, forse: «Il progetto è il club, non l’allenatore».
Ma Zeman è anche l’uomo in grado di rialzare l’asticella dell’entusiasmo, sopperire ad una campagna acquisti che non si preannuncia povera ma neanche faraonica, proseguire con il lavoro svolto da Luis Enrique: se lo spagnolo ha ottenuto adesioni spiegando che la sua proposta di calcio offensivo non sarebbe mai stata negoziabile, Baldini metterebbe al sicuro almeno lo spettacolo, con il tecnico di Praga. Che in serie B, nella cavalcata trionfale del Pescara, ha portato in tribuna una media di 14 mila spettatori a partita: chi cura la campagna abbonamenti avrà già fatto i suoi calcoli.
Mentre lui, il boemo, magari starà facendo i conti con l’ultima delusione vissuta per colpa della Roma e con il desiderio di rivalsa: fu ad un passo dal grande ritorno, nel 2005, prima che Rosella Sensi decidesse di spostare il tiro su Spalletti. I sospetti sull’incidenza di Luciano Moggi, in quel gioco di strane alleanze, non sono mai venuti meno.
L’esilio potrebbe terminare a breve, mentre i quesiti che viaggiano nell’etere romano vertono sullo stato di conservazione del protagonista. Si chiedono gli scettici: «Sarà sempre capace di sostenere che Frau è più forte di Del Piero?». Si domandano i seguaci: «Farà ancora cenno con la mano di avanzare mentre la squadra è in nove uomini e in parità al novantesimo?». C’è un dilemma, infine, che in fondo non lo vede responsabile: «Potrà mai misurarsi con la rosa favorita per lo scudetto?». Dopotutto, il fascino di Zeman è anche nei misteri che gli ruotano attorno.
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