CORRIERE DELLA SERA – G. PIACENTINI – «Non è il momento di scappare, adesso devo stare vicino ai ragazzi e cominciare a pensare alla partita con il Napoli. Mancano quattro partite alla fine della stagione e dobbiamo cercare di arrivare in Europa». Luis Enrique non molla. Alla vigilia della partita aveva detto che il giorno che si fosse reso conto di non essere più apprezzato dalla piazza avrebbe tolto il disturbo. E se lo striscione «Un uomo vero in un mondo di falsi. Adelante Luis», apparso sugli spalti ad inizio partita somigliava ad un ulteriore attestato di stima, i cori alla fine e la contestazione all’uscita dall’Olimpico sono il chiaro segnale che i tifosi hanno perso la pazienza.
«È difficile per i tifosi – le parole del tecnico – capire questa situazione. Ci sono sempre stati vicini ed è normale che mostrino la loro tristezza». Nonostante il tentativo di rimanere distaccato da quello che gli sta capitando intorno, però, è forte la sensazione che il tecnico spagnolo sia arrivato al capolinea della sua avventura romanista. «Se c’è un responsabile, quello sono io. Non ho mai parlato di progetto, sono venuto a Roma per fare del mio meglio. Cercare di trovare le soluzioni dopo una partita come questa è difficile anche per me». Di dimissioni, però, non parla. Anzi, all’ennesima domanda sull’argomento, sbotta. «State tranquilli – dice rivolto alla sala stampa – che manca un giorno inmeno per andare via. Se è quello che volete me ne vado. Mancano quattro partite per cercare di ottenere la qualificazione in Europa». Pochi minuti dopo, la parziale retromarcia. «Non ho ancora deciso quello che farò a fine stagione». Sulla partita. «Il cambio di Heinze con Tallo lo rifarei centomila volte, anche sapendo di perdere la partita. Sono fatto così, preferisco perdere cercando di vincere. È questo il mio difetto più grande»
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