La Roma non vince in campo ma stravince in banca

La Roma non vince in campo ma stravince in banca

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LIBERO (A. NEGLIA) – Così parlò James Pallotta il 23 aprile, alla vigilia di Liverpool-Roma (5-2): «Non ho interesse a vendere Alisson (ceduto proprio ai Reds per 62,5 milioni più 10 di bonus, ndr. Olsen, 28 anni, o Cech, 36, per rimpiazzarlo). È una colonna portante. Abbiamo venduto molto nelle scorse stagioni, ora basta». Promesse di cristallo, quelle del presidente della Roma. La cui posizione agli occhi dei tifosi si aggrava, se si pensa che il 13 giugno scorso la Roma ha ottenuto dall’Uefa l’uscita dal regime di settlement agreement. Tradotto: più libertà sul mercato. E così è stato. La Roma, tra riscatti (Schick, 22 anni, e Defrel, 27) e acquisti, ha già speso 100 milioni: sono arrivati, tra gli altri, Cristante (23), Kluivert (19), Santon (27) e Pastore (29), sostituto di Nainggolan (30). Peccato che, a cominciare dal belga, le partenze siano state ancora illustri. È la cessione di Alisson (25), infatti, a spaccare la tifoseria. C’è chi esalta l’operazione economica del ds Monchi, che stabilisce un duplice record: il brasiliano è il portiere più pagato di sempre e la sua partenza ha stabilito la maggiore plusvalenza mai ricavata a Roma (57 milio-ni). Sbriciolato in meno di un mese il primato raggiunto con la vendita di Nainggolan all’Inter (a 34 milioni, plusvalenza di 32). Ugualmente vantaggiose erano sembrate le cessioni di Salah (al Liverpool, plusvalenza di 28 milioni) e Pjanic (alla Juve, 28.272) nelle ultime due stagioni (le più ricche prima di quest’anno, sul podio anche l’affare Marquinhos, venduto a 31 milioni 4 anni fa).
Meriti da dividere tra Sabatini e Monchi, stregoni delle plusvalenze (360 milioni in 8 anni). Ma a che costo? Dall’avvento degli americani a Roma, nel 2011, si contano tante operazioni, ugualmente lungimiranti, in entrata e in uscita. Ma il campo non ha mai premiato sino in fondo la strategia societaria, che sistematicamente vende, accettando il rischio di un impoverimento tecnico. Che si traduce in uno zero spaccato alla voce «titoli». Un dato che stride con il buon lavoro svolto alla voce «conti». Che oggi quadrano grazie al circolo virtuoso innescato dalle scelte di mercato della dirigenza e impreziosito dai risultati: dal 2014/15 in poi la squadra è sempre arrivata in Europa. L’ultima stagione di Champions (culminata in semifinale) ha garantito 26 milioni di entrate per soli risultati sportivi (81 complessivi). Su mercato è sempre la stessa storia: si investe su un giovane per rimpiazzare il campione partente di turno. È successo con Under (21), preso per sostituire Salah (26). Il turco vale almeno il doppio di quanto speso per portarlo a Trigoria (13.4 milioni) e verosimilmente sarà tra i sacrificati della prossima stagione. Uno scenario profittevole e già visto, ma c’è un problema: il progetto giallorosso si sviluppa in senso solo orizzontale. Ogni mossa sembra atta a preserva-re lo status quo, quello di una squadra ambiziosa ma non vincente. Con un presidente, Pallotta, che minaccia periodicamente di lasciare per via della questione stadio. Roma, intanto, osserva con sospetto. All’orizzonte il «rischio» di nuove plusvalenze: da El Shaarawy (25 anni, ammortamento residuo 6,2 milioni) a Strootman (28, 6,5 milioni e clausola da 32), passando per Florenzi (27, ammortamento pari a zero, in scadenza).

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