EDITORIALE CGR – Mercoledì 11 aprile 2017, 00:55. Piazza del Popolo e vie limitrofe. Centinaia di tifosi giallorossi in festa dopo la clamorosa e quasi inimmaginabile rimonta sul Barcellona. La Roma torna in semifinale di Champions a distanza di quasi 40 anni dall’ultima volta (allora si chiamava Coppa dei Campioni). Nel meraviglioso proscenio di Piazza del Popolo, un corteo di tifosi giallorossi balla e canta dinanzi ad un uomo. Tranquilli nessun rito tribale, baccanali romanisti sì, gioia pura per un risultato storico. Giacca grigia, camicia azzurra, occhi pieni di gioia. È James Pallotta, per gli amici Jim, condotto in trionfo dai tifosi della Roma, dai fans direbbe lui (decisamente not fucking idiots in quel caso…). Cori non proprio da educande, accompagnano il bagno nella fontana del patron americano, che dopo sei anni dall’insediamento ufficiale del consorzio americano, vede forse la luce in fondo ad un lungo tunnel pieno di astio e contestazioni, di errori e promesse non mantenute. La Roma disputerà con orgoglio andata e ritorno contro il Liverpool, venendo poi estromessa dalla finale di Kiev per suoi errori e per alcune ignobili sviste arbitrali, ma questa è un’altra storia. Doveva essere una serata che consacrasse la voglia di rilancio del proprietario bostoniano, invece è stato l’apice da cui iniziare una lenta e inesorabile discesa sportiva e in parte finanziaria, visto l’elevato grado di indebitamento strutturale che Pallotta lascerà in eredità.
Dopo 2 anni e mezzo, Jim, forse in queste ore dinanzi ad un buon bicchiere di vino, nella sua splendida dimora a Boston, starà pensando a quella sera o forse no. Starà pensando a quando rientrato dopo ore di festeggiamenti nella sua lussuosa camera d’albergo al De Russie, avrebbe potuto iniziare a scrivere una nuova fase della storia sportiva del club, oppure no. Starà pensando, chissà, a quando apostrofò alcuni tifosi giallorossi maldestramente come “Fucking idiots”, a quando promise che alcuni pezzi pregiati non sarebbero stati venduti, o che ‘le gambe di Totti ormai non fanno più quello che dice la testa‘, salvo poi rinnovargli il contratto a fine stagione a furor di popolo. Starà forse ripensando a quando disse che avrebbe lasciato se non avesse ricevuto l’ok definitivo per l’edificazione del nuovo stadio entro il 2020. Quest’ultimo, indubbiamente, capitolo del suo personale libro giallorosso, scritto, riscritto, cancellato e nuovamente scritto da chi alle sue spalle e su quelle dei tifosi giallorossi, ha tentato in tutti i modi di ostacolarne la costruzione.
Certamente i pensieri saranno tanti, così come le riflessioni e le intenzioni, oltre alle centinaia di chiamate che starà ricevendo sul suo Iphone. Un sorriso sul volto c’è: 200 milioni di euro cash in un’unica soluzione, intascati per sé e per i suoi soci. Sorriso amaro, certo, se immediatamente ripenserà a quando, dinanzi ad una contestazione planetaria, con striscioni apparsi a Roma, in Italia, in Europa e nel mondo, ha scritto una lunga lettera promettendo un rilancio sportivo e soprattutto una più assidua frequentazione di Trigoria e dintorni, salvo visitare diverse località nostrane la scorsa estate, senza nemmeno un minuto presso la nuova sede del club all’Eur, inaugurata in sua assenza. Oltre 600 giorni di latitanza dal suo ‘vanity asset’. Un rifugio dorato, un distacco emotivo e fisico, preludio di un addio. Che si è consumato stanotte, con reciproca soddisfazione. Perchè al netto di buoni risultati sportivi, con zero trofei, di un miglioramento strutturale del club e di un maggior engagement sui social, Pallotta lascia una Roma tanto ‘(ri)costruenda‘ a livello sportivo, quanto svuotata di quei contenuti emotivi, passionali, tradizionali che hanno accompagnato storicamente l’Associazione Sportiva Roma 1927 e che, chi subentrerà, dovrà obbligatoriamente coltivare, parallelamente al rilancio del progetto sportivo. Bye bye Jim, senza particolari rancori (per chi scrive) ma neanche ringraziamenti.