Luis Enrique parla di addio

Luis Enrique parla di addio

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CORRIERE DELLO SPORT – R. MAIDA – Un’immagine racconta la rassegnazione di un uomo: esauriti i gesti di scaramanzia, Luis Enrique ha chiuso la sua partita sulle ginocchia. E’ rimasto immobile, a bordocampo, a venti centimetri dal prato, appoggiato ai muscoli delle gambe. Fissava il nulla dello sfacelo mentre la Fiorentina festeggiava il gol di Lazzari e il fido motivatore, Llorente, tentava in maniera grottesca di spronare la Roma a riprendere il gioco. Adesso non sono più soltanto i numeri a condannare il suo lavoro ma anche la decisa presa di posizione popolare. I tifosi, almeno i tifosi che ieri erano all’Olimpico, non lo vogliono più. E’ una sentenza di primo grado, con quattro appelli ancora da scrivere, ma una sentenza. Che lui, il colpevole designato, accoglie con visibile sofferenza.  «Non siamo mai stati all’altezza del nostro pubblico – spiega –  perciò è normale la delusione della gente, il disincanto, la rabbia. Conosco il calcio, so che nei momenti difficili succede che l’umore della piazza non sia buono. Abbiamo creato noi questa situazione, noi dobbiamo fare in modo di uscirne. Non succede nulla di grave adesso. Siamo dispiaciuti ma dobbiamo impegnarci per rialzarci» .

CONTINUARE – Aveva promesso di dimettersi in caso di richiesta esplicita dei tifosi. Ma anche dopo la quattordicesima partita persa in campionato e la rumorosa contestazione, tira dritto. Lo fa alzando la voce, battendo i pugni sul tavolo della sala stampa dell’Olimpico, come se volesse difendere la squadra contro ogni evidenza. «Sarebbe troppo facile andare via adesso – chiarisce –  invece io devo stare vicino ai giocatori. E alla società, che comunque vadano le cose ha un grande futuro davanti a sé perché ha qualcosa di diverso dalle altre. Non è questo il momento di distruggere nulla, adesso devo cercare di portare la Roma in Europa» . Ormai resta solo quella di serie B, come obiettivo:  «Alla Champions è inutile pensare ormai, dobbiamo pensare ad arrivare più in alto possibile e a entrare almeno in Europa League» . E sarà molto difficile conquistarla, visto che la Roma è scivolata al settimo posto. Oggi come oggi, è fuori da tutto. Quindici anni dopo l’ultima volta (1996-97).
SFIDA – La sensazione è che la Roma e Luis Enrique andranno avanti soltanto per le prossime quattro partite. Poi, si separeranno. E’ lui a sussurrarlo tra le righe, nel corso della solita arringa contro i giornalisti:  «Se non vi piaccio non me ne frega niente, non andrò via per accontentare voi. Me ne andrò quando lo deciderò io. E da questo punto di vista potete stare tranquilli: manca un giorno in meno al mio addio. Per fortuna vostra,

niente è eterno. Io non ho mai parlato di progetto. Mi hanno chiamato e io sono venuto qui a fare il mio lavoro. Non scappo adesso. L’allenatore della Roma si alzerà come sempre alle 9 per cercare di preparare la partita con il Napoli» . Ieri, durante il solito confronto con i dirigenti, gli è stata rinnovata la fiducia. Ma è Luis Enrique a non essere più tanto convinto di rimanere: a Baldini ha garantito solo che non mollerà in questo finale, non una permanenza a tempo indeterminato.  «Non ho deciso cosa farò dopo la fine del campionato – ammette –  aspettiamo le quattro partite che restano» . Non aveva mai manifestato pubblicamente incertezza. E’ il segno che qualcosa nella sua testa si è slacciato dalla Roma.

L’ANALISI – Della partita con la Fiorentina, c’è poco da salvare:  «Nel primo tempo non c’eravamo, non siamo riusciti a entrare in partita. Non so perché. Forse la situazione che si è creata, con tanto pessimismo intorno, ha bloccato la squadra. Di sicuro i giocatori hanno perso fiducia: alla fine erano molto tristi. Peccato perché nel secondo tempo abbiamo giocato a un livello altissimo» . Non sente di avere la squadra contro, anche se aggiunge:  «Io credo che tutti mi seguano. Poi bisognerebbe chiedere ai giocatori se è vero. Mi sembra però che ci siano delle difficoltà nel recepire quello che chiedo. E’ colpa mia di tutto. Sono io il responsabile, lo sapete» . Si è complicato la vita da solo, inserendo il giovane Tallo al posto di Heinze e schierando in difesa Taddei e De Rossi. Una tattica suicida che ha consegnato la vittoria alla Fiorentina:  «Non potevo mettere mica Bojan e Lamela, che erano squalificati… Ho inserito una punta perché volevo vincere. Io voglio sempre vincere. Rifarei questo cambio centomila volte» . La filosofia del Barcellona. Solo che anche il Barcellona qualche volta perde. Figurarsi questa Roma:  «Non è una bella giornata né per me né per Guardiola. Ma la vita continua. Non smetteremo di credere nel nostro lavoro» . Anche perché uno striscione della curva Sud ( «Un uomo vero in un mondo di falsi: Adelante Luis» ) svela che parte dei tifosi gli vuole ancora bene:  «So di essere un uomo vero perché certi valori mi sono stati inculcati dai miei genitori. Ma adesso devo diventare un allenatore vero» . Cosa gli manca per esserlo?  «I risultati» . E basta.

 

 

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