Manàmixer – Dal magnifico errore, al magnifico fallimento si veleggia verso la...

Manàmixer – Dal magnifico errore, al magnifico fallimento si veleggia verso la terza tabula rasa

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Con lo scialbo pareggio casalingo contro l’Inter, la Roma abbandona definitivamente qualsiasi velleità di lotta per le zone alte della classifica, avviandosi a vivere una seconda parte di stagione, che Coppa Italia a parte, sfocerà quasi certamente nel tunnel buio dell’anonimato.

4 punti nelle ultime 5 gare, 3 in meno del girone d’andata dopo due partite, il classico inverno “nero” di matrice zemaniana, che aggiunto ad una partenza shock  nelle prime 10 giornate, fanno in totale i 33 sconfortanti punti in classifica, manifesto di un mortificante settimo posto, sotto al Milan peggiore degli ultimi 25 anni.

Leggere le cifre attuali della Roma a poco più di metà stagione, a 10 distanze dall’obiettivo Champion’s, e con lo spettro di non disputare per il terzo anno di fila una competizione europea, significa certificare quello che gli zelanti dirigenti della Roma probabilmente definiranno, con un bizantinismo dialettico, un “magnifico fallimento“.

Non era  certamente questo il grande progetto tecnico che era stato promesso alla gente, non era questa l’idea di un calcio diverso, spettacolare, propositivo e rivolto al futuro che aveva nuovamente attirato il pubblico giallorosso allo stadio, con quasi 30 mila tessere vendute ad inizio stagione.

Quell’idea di rivoluzione, dissoltasi in un’utopia di per sè irraggiungibile, di creare un marchio riconoscibile nel mondo, perchè forse per qualcuno dentro la società è meglio apparire che essere, tra un simposio e un gattopardo; il talento dei singoli irregimentato agli schemi di un uomo che dopo il trionfo di Pescara sembrava finalmente pronto a chiudere la sua carriera giocandosi la carta della vita. Un ritorno a Roma, quello di mister Zeman salutato dall’entusiasmo di tanti tifosi, nauseati dalla noia offerta dalla squadra di Luis Enrique (che ad oggi aveva subito diversi goal in meno e aveva comunque due punti in più in classifica), ma anche dallo scetticismo degli storici avversori del calcio boemo, “perchè in serie A si vince pensando prima a non prenderle e poi davanti  vedrai che il goal lo segni“.

Un ritorno al passato, “uno scudo spaziale” mutuando le parole di Walter Sabatini, che in realtà si sta dimostrato un semplice compromesso tra chi pensava di poter accontentare le voglie di una piazza scontenta dopo il fallimento asturiano, tra chi era alla ricerca di un palliativo per allentare certe polemiche e cercare di aumentare gli abbonamenti, tra chi sognava di ripercorrere le battaglie calcistiche ed extra calcistiche di 15 anni fa.

La città si è divisa nuovamente tra zemaniani e anti-zemaniani e dopo 20 giornate si è capito, come nel 99′, che per vincere serve qualcosa di diverso.

Basta alzare gli occhi verso le vette della classifica per comprendere che le altre squadre, pur con rose non del tutto complete e in parte non superiori sulla carta a quella giallorossa, hanno affidato i propri progetti tecnici ad allenatori pragmatici, lineari, in grado di gestire il gruppo dal punto di vista psicologico e  che predicano un calcio sicuramente meno spettacolare, ma più speculativo ed evidentemente più facile da applicare.

L’unico responsabile di questa profonda mediocrità da consegnare alla pubblica gogna non può e non deve essere solo Zeman, perchè nel momento in cui si sceglie di percorrere la strada calcistica del boemo, non si può non rinforzare la squadra con un regista di qualità in grado di verticalizzare con precisione millimetrica, con dei terzini che non abbiano solo corsa, ma abbiano anche i piedi adatti per mettere in area cross precisi, ma soprattutto dopo una seconda parte del girone d’andata che aveva rilanciato le ambizioni dei giallorossi, non si può non intervenire sul mercato sapendo che per motivi vari (fisiologici o tecnici) giocatori come Taddei, Dodò, Perrotta, Marquinho, Romagnoli e Nico Lopez non sono presi in considerazione dall’allenatore.

Dunque dirigenti responsabili a giungo, come a gennaio e anche nei mesi di mezzo, durante i quali non sono stati in grado di gestire gli umori di una squadra coinvolta anch’essa nel fallimento tecnico e che salvo alcune splendide eccezioni come il diciottenne Marquinhos e il trentasettenne Totti (arrivato a quota 222 goal in serie A), è chiaramente composta da giocatori in parte inadeguati, in parte talentuosi ma troppo discontinui o immaturi per pensare di competere ad altissimi livelli.

Al di là della semifinale di Coppa Italia, che se vinta porterebbe la Roma a qualificarsi al 99% alla prossima Europa League, la sensazione è che al di là dei tanti propositi sbandierati a parole, non si stia costruendo nulla di importante. Per questo a giugno ci sarà probabilmente un’altra tabula rasa, la terza in tre anni, con la speranza però che questa volta decisioni importanti anzi fondamentali come quella dell’allenatore, siano prese da dirigenti diversi, perchè la passione straordinaria dei tifosi della Roma non merita di essere soffocata nella “magnifica indecenza” dell’anonimato.

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