CORRIERE DELLO SPORT (A. DE PAULI) – Scorbutico come il vento freddo che soffia da nordovest sulla costa asturiana, Luis Enrique ha passato la giovinezza specchiandosi nel Mar Cantabrico, dove le correnti temperate dei tropici sbattono contro i flussi freddi provenienti da settentrione, dando vita ad onde spettacolari, prima di frangersi nel limite ultimo dell’Oceano Atlantico. Per tutti i ragazzi di Gijon, almeno fino a qualche decennio fa, il mare ha sempre rappresentato l’unica alternativa a un futuro nell’entroterra, nelle viscere delle miniere di carbone. E, in quel mare, Lucho torna appena può per rituffarsi nei ricordi del passato e nell’abbraccio dei familiari. Ma poi bisogna ripartire, per nutrire i sogni e scontrarsi con nuove sfide. Come quando, appena appesi gli scarpini al chiodo, si portò la giovane compagna in Australia, per un anno sabbatico in cima a una tavola da surf, sogno irrealizzato dalla maggioranza dei suoi coetanei, con cui si era dilettato sulle onde domestiche.
LA SFIDA PERFETTA – Un’impresa. Soprattutto quella di convincere una persona razionale e con la testa sulle spalle come la dolce sposa Elena, ultimo ostacolo anche prima della firma con i giallorossi. La consorte avrebbe preferito la destinazione madrilena, per non stravolgere da un giorno all’altro la routine dei figlioletti dai nomi rigorosamente asturiani, Pacho, Sira e della piccolissima Xana, che inizia a pronunciare proprio ora le sue prime frasi in castigliano, ma la fame di sfide di Lucho ha avuto ancora una volta il sopravvento. Perché il giovane tecnico, divenuto celebre attraverso lo sport di squadra più amato del pianeta, nella sua indole ha molto dell’atleta da competizione individuale. Un’insaziabile necessità di misurarsi con i propri limiti e di spostare sempre più in là la nuova meta da raggiungere. «È indispensabile porsi un obiettivo. Senza un obiettivo la voglia di allenarsi sparisce, le scuse per rimanere tranquillo a casa abbondano e la pigrizia prende il sopravvento ». Una riflessione inserita, qualche mese fa, nel blog personale e tornata ora di grande attualità, spiegano le ragioni profonde della sua scelta romana. Considerato da tutti come l’erede naturale di Guardiola alla guida dei big blaugrana, Lucho, dopo aver centrato i playoff per la promozione in Liga, massimo traguardo possibile per il Barça B, a cui è impedito di giocare nel medesimo torneo della prima squadra, ha deciso di cambiare aria e misurarsi in nuovi territori, con nuovi obiettivi, invece che sedersi sugli allori, in attesa dell’abdicazione di Pep. E Roma, con la nuova società davanti e una gloriosa storia dietro, gli è parsa subito la sfida perfetta.
UOMO D’ACCIAIO – Una gara tutta in salita, che non spaventa di certo uno a cui la maratona è parsa subito poco più che una passeggiata, dopo averla disputata a New York e ad Amsterdam. Dopo il pallone, in realtà, il vero amore di Luis Enrique è la bicicletta, pretesto per almeno una rimpatriata annuale insieme al fratello Felipe e ai fedelissimi amici d’infanzia, con cui condivide proibitive sfacchinate sui Pirenei. L’ansia di misurarsi con i suoi limiti l’ha portato, infine, a mescolare le sue passioni e a disputare più d’una gara di triathlon. Ancora troppo poco. Inevitabile l’approdo all’Iron Man, una competizione che si apre con 3.800 metri a nuoto, seguiti da 180 km in bici e che si chiude con i 42 km abbondanti della maratona, da realizzarsi nel tempo limite di 17 ore. A Lucho ne sono bastate poco più di 12. Se Luis Enrique può sopportare senza troppi problemi la fatica, non si può dire lo stesso dei giornalisti. Gelosissimo della sua vita privata, ha sempre ridotto al minimo i contatti con la stampa, considerata poco più d’un fastidio. Atteggiamento condiviso in pieno con gli inseparabili amici, Iván De la Pena, che l’accompagnerà a Roma, e Carles Puyol, capitano coraggioso del Barça, che non abbandonerà mai la natia Catalogna.