IL MESSAGGERO (R. AVANTAGGIATO) – Il suo sorriso è contagioso, perché induce buonumore e serenità. Doti che, sui campi di serie A, insieme ad una preparazione maniacale, rappresentano la vera forza del suo essere arbitro. Maurizio Mariani, 37 anni da compiere il prossimo 25 febbraio e che in questi giorni ha ottenuto la nomina a internazionale, ha fatto della cultura del lavoro uno stile di vita, sia come uomo che come arbitro. Percorso, quest’ultimo, iniziato a 16 anni a Venezia e sviluppato, poi, tra Aprilia, dov’è cresciuto, e Roma, dove oggi vive e lavora.
Mariani, perché proprio a Venezia?
«Perché avevo deciso di intraprendere la carriera militare ed ero andato a studiare alla Scuola Navale Morosini. Prima giocavo a calcio, ma stando in caserma era più difficile. Così, per stare in mezzo al campo, e anche poter andare allo stadio gratis, ho scelto di fare un corso per arbitri».
Una scelta che si è rivelata la sua fortuna
«E’ vero, ma quando ho iniziato non pensavo davvero di arrivare fino alla serie A. Poi ho capito che avevo la vocazione giusta».
Questione di Dna?
«Sì, in parte, perché mio padre Massimo aveva fatto l’arbitro, sia pure non ad alti livelli».
Dove invece è arrivato lei. Spinto da cosa?
«Dalla voglia di rispetto delle regole e da quel senso di responsabilità che dovremmo avere tutti».
In campo alcuni arbitri usano il bastone, altri la carota. Lei da che parte sta?
«Io credo che il dialogo e il confronto con i calciatori, che non vuol dire essere sopraffatti dalle proteste, possa essere importante per portare serenità in una partita».
Basta questo per conquistarsi il rispetto?
«No, ci vuole anche uniformità nei giudizi e coerenza nei comportamenti, senza guardare se davanti hai una star o un semplice calciatore».
Un po’ il concetto che è alla base dell’utilizzo della Var.
«Una vera rivoluzione per il calcio e il nostro mondo arbitrale».
Rivoluzione che dà l’idea di avervi spaventato un po’?
«No, assolutamente. Tutti vediamo la Var come un aiuto per sbagliare il meno possibile. Nessuna novità può e deve spaventare».
Girava però questa convinzione.
«Nata da un’errata interpretazione di un processo naturale, che è quello di capire come va utilizzato quello che non si conosce».
Ora lo avete capito?
«Certamente, anche se il processo è in continua evoluzione, da noi come in altri Paesi europei».
Nelle ultime giornate prima della sosta, si è avuta l’impressione di un cambio di rotta nell’utilizzo della Var.
«Anche qui, a volte si parla senza conoscere. A noi viene chiesto di seguire un processo decisionale, di essere scrupolosi e applicare il protocollo Ifab».
Ma essere arbitro davanti alla Var cosa significa?
«Che devi essere più asettico possibile, cercando di trasformare la tensione in concretezza, ottimizzando il poco tempo che hai a disposizione».
Può nascere la figura dell’arbitro-Var?
«Non lo so. Non siamo noi a doverlo decidere. Posso però dire che la Var può allungare la carriera di un arbitro».
Agli arbitri ora si chiede anche di sospendere le partite
«Posso dire che è assurdo che nel 2019 ancora ci siano cori di discriminazione, ma anche qui c’è un protocollo e a quello dobbiamo attenerci».
Ma voi li sentite in campo?
«Come i calciatori seguiamo lo sviluppo del gioco e ci estraniamo da quello che viene detto dagli spalti. A volte li sentiamo e a volte ce li segnalano».
La violenza nei confronti degli arbitri sui campi minori, come si combatte?
«Creando una cultura sportiva forte e radicata nei giovani. Il calcio va vissuto come un gioco nel quale bisogna anche riconoscere i meriti altrui, senza cercare sempre alibi».
Torniamo all’uomo Mariani. Ha festeggiato la promozione?
«Sì, in famiglia, ringraziando mia moglie Noemi per tutti i sacrifici che ha fatto. Perché i veri sacrifici li fanno loro».
E’ così anche per sua figlia Mia, che ha appena 5 anni?
«Certamente. La domenica non ci sono quasi mai e le manco. Però mi segue in televisione e quando mi vede mi chiede sempre: papà, perché tu non prendi mai la palla. Una frase così dolce che mi ripaga di tutto».
A proposito di famiglia, c’è un papà arbitrale per lei?
«Stefano Farina. Un grande uomo e un grande arbitro. E’ stato il mio designatore in C e B e gli devo molto. Mi manca davvero tanto».
Oggi, il suo designatore è Rizzoli, che fino ad un anno fa era semplicemente un collega.
«Già, ed è una fortuna. La sua preparazione tecnica è fondamentale per noi giovani. Ci dà continuamente consigli e insegnamenti».
Lei, insieme a un bel gruppo di arbitri, rappresenta la new-generation della Can A.
«E’ bello esserlo, ma d’altronde anche i big di oggi, ieri sono stati la nuova generazione degli arbitri. Speriamo di poter essere alla loro altezza».
Una new-generation che parla molto laziale.
«E’ una scuola che conferma di avere un’ottima preparazione e una bella tradizione».
Qual è la partita che le piace arbitrare di più?
«Un derby. Finora ho diretto solo Chievo-Verona, ma mi raccontano che quelli di Milano, Roma, Genova e Torino sono speciali».
La prossima settimana tornerà a Coverciano con i galloni da internazionale
«E festeggerò con i colleghi. Io e gli altri promossi, perché è bello condividere le gioie con persone che, in alcuni casi, sono anche degli amici».