ILPOST.IT – Le indagini e gli arresti che negli ultimi mesi hanno nuovamente coinvolto la politica e la pubblica amministrazione a Roma – gli ennesimi: nel frattempo il caso “Mafia Capitale” è arrivato in appello – sono stati descritti quasi sempre dalla stampa e dalle tv come indagini e arresti “per il nuovo stadio della Roma”. Nella sintesi e semplificazione giornalistica, infatti, si è parlato spesso di “inchiesta sullo stadio della Roma” o “corruzione sul caso dello stadio della Roma”, mentre i lanci di agenzia con gli ultimi sviluppi giudiziari vengono regolarmente preceduti dalle parole “Stadio Roma”, a indicare la questione generale. Eppure non c’è nessuna indagine in corso sul nuovo stadio della Roma, non ci sono dirigenti o dipendenti della Roma indagati né dubbi sulla regolarità dell’iter seguito dal nuovo stadio fin qui.
Lo stesso pubblico ministero di Roma a capo delle indagini, Paolo Ielo, ha detto all’inizio del caso, a giugno, che «la Roma non c’entra nulla», e ha ripetuto pochi giorni fa che «non ci sono atti amministrativi relativi allo stadio per cui si ravvisano alterazioni». Dalle parole dei magistrati e dal contenuto delle ordinanze di arresto – di cui il Post è in possesso – le inchieste di cui parliamo si possono descrivere come inchieste sulla corruzione a Roma, e non “inchieste sullo stadio della Roma”. […]
Perché si riparla di questa storia? – Si sta riparlando di questa storia perché mercoledì 20 marzo la procura di Roma ha disposto l’arresto di Marcello De Vito, importante politico del Movimento 5 Stelle e soprattutto presidente del consiglio comunale della città, con l’accusa di corruzione. Secondo l’accusa, De Vito avrebbe ricevuto tangenti dall’imprenditore Luca Parnasi, proprietario dei terreni su cui dovrebbe sorgere il nuovo stadio della Roma, a sua volta arrestato a giugno 2018. Insieme a De Vito è stato arrestato Camillo Mezzacapo, un avvocato che secondo l’accusa era il suo complice nelle attività corruttive attraverso una società, riconducibile a entrambi, nella quale confluiva il denaro ricevuto dai presunti corruttori (Mezzacapo, ha detto il suo avvocato, si dichiara innocente, dice di non aver ricevuto tangenti e di non avere il controllo su alcuna “società-cassaforte”).
Com’è possibile, allora, che ci siano dei presunti corruttori, dei presunti corrotti, e nonostante questo sia valido e regolare l’iter amministrativo che li coinvolge? Sulla base della lettura di entrambe le ordinanze di arresto, quella di giugno 2018 e quella di marzo 2019, le risposte a questa domanda sono sostanzialmente tre.
“Un format corruttivo” – La prima è il comportamento di Parnasi, che viene descritto dai magistrati come “sistemico”, “un format corruttivo”, con lo scopo di ungere tutti i passaggi politici e amministrativi che potessero essere potenzialmente utili alle sue attività, anche al di là di immediate esigenze concrete sui singoli atti (per dirla come la dicono i magistrati, era volto “all’ottenimento di provvedimenti amministrativi favorevoli alla realizzazione sia del Nuovo Stadio della Roma sia di altri progetti imprenditoriali che la compagine riferibile ai vertici del sodalizio aveva in corso di trattazione sviluppo o pianificazione”). Un esempio su tutti, particolarmente noto, permette di capirlo: dopo l’arresto di Parnasi si parlò a lungo di un episodio preciso descritto nell’ordinanza, cioè del tentativo di corrompere l’assessore all’Urbanistica del comune di Milano, Pierfrancesco Maran, che quest’ultimo respinse con nettezza («Qui non si usa»). L’ordinanza mostra che quel tentativo di corruzione avvenne “al fine di ottenere entrature per la realizzazione dello stadio di Milano”, quando in realtà all’epoca non esisteva – né esiste oggi – un progetto per costruire un nuovo stadio a Milano, al di là di generiche intenzioni verbali che si susseguono da anni.
In un’altra ormai famosa telefonata intercettata dai magistrati, è Parnasi stesso a descrivere il suo comportamento generale, che nell’ipotesi dell’accusa si muove tra la corruzione e il finanziamento illecito ai partiti: «Ci sono le elezioni. Io spenderò qualche soldo sulle elezioni […] È un investimento che io devo fare. Molto moderato rispetto a quanto facevo in passato, quando ho speso cifre… che manco te le racconto. Però la sostanza è che la mia forza è quella che alzo il telefono e…». Il finanziamento alla politica non è l’unico strumento che Parnasi adotta per costruire queste relazioni, secondo l’accusa: ci sarebbero anche il trasferimento di denaro attraverso fatturazioni per prestazioni lavorative mai avvenute, donazioni, promesse di posti di lavoro, bozze di progetti urbanistici redatti gratuitamente. La cosa che Parnasi cerca di ottenere è la capacità di «alzare il telefono» e far succedere le cose, soprattutto in un contesto politico mutato con l’arrivo al potere del Movimento 5 Stelle. In un’altra telefonata intercettata, Parnasi dice di sé parlando in terza persona: «Parnasi ha un buon rapporto, se fa lo stadio della Roma col mondo Cinque Stelle: allora tutti vogliono prendere un taxi, non so se mi spiego». Costantini su Repubblica ha sintetizzato così: “L’imprenditore Parnasi era diventato il tramite di tutti i colleghi che avevano necessità di scendere a patti — a volte spericolati — con il governo grillino della Capitale”.
Ai tentativi di Parnasi – sempre dall’ordinanza: “una manovra di accerchiamento che riguarda tutti gli organi a vario titolo coinvolti” – corrispondono le azioni di politici, funzionari e dirigenti della pubblica amministrazione, che “mettono a disposizione” le loro funzioni “offrendo servizi a una serie di costruttori”. Insomma, Parnasi secondo l’accusa aveva un “modus operandi” che utilizzava in ogni contesto, ma questo non basta a rendere di per sé irregolare e illecito ogni contesto che toccasse.
La corruzione non è tutta uguale – La seconda risposta riguarda cosa secondo la legge è perseguibile come corruzione, e poi la differenza tra “corruzione propria” e “corruzione impropria” secondo il codice penale e le successive interpretazioni e applicazioni di queste norme. Innanzitutto, come spiega la seconda ordinanza, non è necessario “l’effettivo compimento di atti ai fini della configurabilità di entrambe le ipotesi di reato incentrate primariamente sul patto illecito”: basta appunto il “patto”, il tentativo di corruzione da una parte e l’essersi messi a disposizione dall’altra.
Come spiega la stessa ordinanza, poi, si parla di “corruzione impropria” quando “si realizza una violazione del principio di correttezza e del dovere di imparzialità del pubblico ufficiale senza che però la parzialità si trasferisca sull’atto”, mentre si parla di “corruzione propria” quando “la parzialità si rivela nell’atto, segnandolo di connotazioni privatistiche perché formato nell’interesse esclusivo o prevalente del privato corruttore e rendendolo pertanto illecito e contrario ai doveri d’ufficio”. Semplificando: è “corruzione impropria” se la corruzione porta all’emissione di un atto che sarebbe comunque stato emesso in quella forma, è “corruzione propria” se la corruzione porta a un atto “illecito” o che altrimenti sarebbe stato emesso in un’altra forma.
I magistrati contestano entrambi i reati alle persone accusate, ma spiegano – sulla base di precedenti sentenze e interpretazioni – di giudicare “corruzione propria” anche “lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi che si traduca in atti che, pur formalmente legittimi in quanto discrezionali e non rigorosamente predeterminati, si conformano all’obiettivo di realizzare l’interesse del privato nel contesto di una logica globalmente orientata alla realizzazione di interessi diversi da quelli istituzionali”, e aggiungono che “per l’integrazione del delitto di cui all’art. 319 [cioè la “corruzione propria”, ndr] non è necessaria l’individuazione di uno specifico atto contrario ai doveri d’ufficio per il quale il pubblico ufficiale abbia ricevuto somme di denaro o altre utilità non dovute, a condizione che dal suo comportamento emerga comunque un atteggiamento diretto in concreto a vanificare la funzione demandatagli e dunque a violare i doveri di fedeltà di imparzialità e di perseguimento esclusivo degli interessi pubblici che sullo stesso incombono”.
Le presunte attività illecite descritte dalle ordinanze coinvolgono diverse persone legate al progetto dello stadio: tra queste Luca Lanzalone (presidente di Acea considerato informalmente “l’uomo-stadio” della giunta Raggi), Adriano Palozzi (consigliere regionale eletto con Forza Italia), Davide Bordoni (consigliere comunale eletto con Forza Italia), Michele Civita (ex assessore regionale, oggi consigliere regionale eletto col Partito Democratico), Daniele Leoni (funzionario del dipartimento Urbanistica del comune di Roma), Paolo Ferrara (consigliere comunale e presidente del gruppo del M5S), Giampaolo Gola (assessore allo Sport del X Municipio in una giunta M5S).
Sulla base del contenuto delle ordinanze però – che non riguardano la Roma e i suoi dirigenti, che vengono solo saltuariamente nominati in quanto parti in causa nella prima ordinanza e mai nella seconda – e delle dichiarazioni rese ripetutamente dai magistrati sulla regolarità dell’iter amministrativo del nuovo stadio della Roma, si deve concludere che nel giudizio dei magistrati questi episodi non abbiano viziato o alterato nessun atto e quindi il processo che ha seguito fin qui il progetto stadio. Come ha detto il pm Ielo: «De Vito è stato arrestato perché da presidente dell’Assemblea Capitolina si è messo a disposizione di Mezzacapo, che faceva capo al gruppo Parnasi, ma al momento non ci sono atti amministrativi che riportano anomalie. Il semplice fatto che si sia messo a disposizione ha fatto scattare l’arresto». […]
L’iter amministrativo dello stadio fin qui – Infine, è plausibile pensare che i magistrati siano arrivati alla conclusione che l’iter amministrativo del nuovo stadio non sia stato alterato dalle attività delle persone indagate sulla base dei moltissimi passaggi politici e amministrativi che ha superato in sette anni. È un progetto che ha attraversato tre giunte comunali (Alemanno, Marino e Raggi) e un commissario straordinario, e che due giunte e due consigli comunali di Roma hanno giudicato – votando – di interesse pubblico per la città; è un progetto che è stato vagliato da due Conferenze dei servizi, concluse con pareri favorevoli motivati ed esito positivo dopo il coinvolgimento della regione Lazio, dello Stato e di tutti gli uffici tecnici interessati.
Inoltre, dopo gli arresti di giugno la sindaca Raggi aveva preso la decisione – politica, non amministrativa – di sospendere l’iter per effettuare un surplus di verifiche soprattutto riguardo la viabilità, affidando un’analisi e un parere non vincolanti a un ente terzo di sicura indipendenza e affidabilità: il Politecnico di Torino. La decisione di Raggi ha allungato ulteriormente i tempi, ma a febbraio del 2019 è arrivato il parere favorevole del Politecnico. In una conferenza stampa con il relatore del Politecnico e il presidente dell’agenzia “Roma Servizi per la Mobilità” la sindaca Raggi ha illustrato il parere favorevole del Politecnico e ha annunciato che «lo stadio si fa», aggiungendo che i cantieri sarebbero stati aperti «entro la fine dell’anno». […]
Cosa succede adesso – La Roma – che ha già speso 75 milioni di euro per il progetto e i dossier tecnici sul nuovo stadio in questi sette anni – ha detto di considerare «acquisito» il diritto di costruire lo stadio, sulla base dell’iter e delle decisioni prese fin qui dalle pubbliche amministrazioni, lasciando intendere di essere pronta a fare causa al comune se dopo sette anni, l’iter percorso fin qui e le parole dei magistrati, il progetto dovesse arenarsi. La Roma peraltro ha già trovato un accordo per acquisire i terreni di Tor di Valle, diventando così il proponente unico, comprandoli da Eurnova (che nel frattempo dopo l’arresto di Parnasi ha un nuovo management, come previsto dalla legge: l’amministratore delegato oggi è Giovanni Naccarato, lontano dalla precedente gestione e apprezzato nei suoi precedenti incarichi). L’acquisizione dei terreni sarà finalizzata quando (e se) il comune procederà con i prossimi passi necessari, gli ultimi: il voto in consiglio comunale della variante e della convenzione urbanistica.
Dopo l’arresto di De Vito, la giunta Raggi aveva fatto trapelare che ci sarebbero stati nuovi controlli sui cantieri e progetti di cui si parla nell’ordinanza di arresto (i Mercati generali, l’ex Fiera di Roma, l’ex stazione di Trastevere) ma non sullo stadio, viste le verifiche già eseguite al tempo degli arresti di Parnasi e Lanzalone. Domenica sera però la sindaca di Roma, Virginia Raggi, parlando a La7 ha lasciato intendere che potrebbero esserci controlli supplementari anche sullo stadio: «Io ho fatto una due diligence [uno specifico approfondimento, ndr] e alla luce di quanto accaduto ne sto facendo fare un’altra». Il Post ha chiesto chiarimenti all’ufficio stampa della sindaca ma non ha ancora ottenuto risposta.