«Siamo arrivati alla fine del percorso». José Mourinho parla così alla vigilia della finale di Conference che vedrà opposti la sua Roma e il Feyenoord: «Nella “finale” con il Toro non si poteva scrivere la storia, finire in una posizione di qualificazione in Europa League è normale. Questa, invece, è storia che si è già scritta per arrivare qui in Albania e giocare una finale europea dopo tanti anni, ma quando arrivi in finale devi fare tutto il possibile per scrivere la vera storia, che è vincerla».
Mourinho si stacca dal personaggio, si traveste da vecchio allenatore saggio. Dispensa equilibrio, mai arroganza. Eppure lui di finali ne ha giocate (sette) e vinte (quattro) e se alzerà anche il nuovo trofeo stasera avrà fatto l’en plein, considerando anche la Coppa delle Coppe come assistente di Robson: «Io esperto in materia? L’esperienza non aiuta, io pensavo che potesse invece no. Il mio modo di essere è uguale a quando ho giocato la prima finale. Sono concentrato o magari è un mio modo di preparare la gara. La scaramanzia? Odio gli scaramantici. Il sostegno dei tifosi può solo fare bene. Se la Roma ha però una finale con la gente all’Olimpico davanti agli schermi non è certo colpa loro. Mi hanno chiesto con che maglia giochiamo e ho detto che non lo voglio sapere, per me è uguale».
È arrivato il momento di togliere le pressioni dalla squadra: «Dobbiamo fare quello che facciamo in ogni partita. Per questo dico di pensare sempre alla prossima e la prossima è una finale, l’ultima della stagione, c’è qualcosa di speciale in ballo, ed è un trofeo. Ma si deve fare esattamente lo stesso, pensare come le altre partite. Senza dimenticare che comunque vada, è già una stagione positiva».
Fonte: il Messaggero