GAZZETTA.IT (A.CATAPANO) – Chissà che l’attesa spasmodica della Roma a stelle e strisce non contagi pure la paciosa, sofisticata, elegante Boston. Il consueto caravanserraglio di taccuini, microfoni, telecamere — “sembra la coda di un mostro” disse a Roma DiBenedetto, braccato pure in bagno – è sbarcato negli States, deciso a occupare le vie del Financial District, il quartiere degli affari dove non a caso si chiuderà il deal. Forse aiuteranno i preparativi del Patriots’ Day e della Maratona: nella confusione generale, si darà meno nell’occhio. Boston frequenta più sport ad alti livelli — Red Sox nel baseball, i Celtics nel basket, i Patriots nel football — ma è estranea a certe follie calcistiche (e romaniste). Suggestivo che la storia della Roma — società che non hai conosciuto padroni stranieri, privilegiando spesso boss locali — si faccia nella città simbolo della rivoluzione americana. Qui si posarono i mattoni dell’indipendenza, qui si getteranno le fondamenta della nuova Roma. A partire da domani, quando si concluderà la lunga cavalcata, più audace di quella celebre di Paul Revere. Gli avvocati e lo stato maggiore di UniCredit sono in loco da ieri. DiBenedetto li raggiungerà oggi pomeriggio. Pallotta a Boston è di casa. Da ieri si lavora di gran lena per preparare l’evento: firme sui contratti, strette di mano, foto ricordo, il tutto è davvero imminente.
COME SARA’ — Sette mesi di trattative dure, estenuanti, complicate, di salti in avanti e colpi bassi, di accordi e disaccordi, e finalmente domani la Roma passerà alle cure di Thomas DiBenedetto, James Pallotta, Michael Ruane, Richard D’Amore. Dottori in ristrutturazione, perché se la squadra è di nuovo in salute e in corsa per la Champions, la società è malaticcia e indebitata, perciò per prima cosa verrà ricapitalizzata con dosi da cavallo. UniCredit — che garantisce l’italianità — conserverà inizialmente il 40%, per poi cederne parte ad un imprenditore locale, così da ripristinare pure la romanità, da coinvolgere magari nel mega affare stadio.
WELCOME — Non ci sono più dubbi, lo conferma anche la riunione di mercoledì del cda di Roma 2000, che ha attribuito al presidente Attilio Zimatore il potere di firma sugli accordi definitivi. Passaggio tecnico, ma assai simbolico. Anche se circola ancora qualche San Tommaso. Il sindaco Alemanno si è arreso da un po’, è arrivata perfino la benedizione di Silvio Berlusconi, che pure in passato aveva respinto l’avanzata russa e più recentemente, attraverso Gianni Letta, dato udienza alle istanze di Rosella Sensi. “Sono contento dell’arrivo di DiBenedetto — avrebbe detto il premier ai suoi sodali —, però deve sapere che si butta in una magnifica avventura che gli darà soddisfazioni, ma pure dolori e preoccupazioni, e non gli farà guadagnare nulla. Gli auguro di avere gli stessi successi che ho avuto io al Milan”. Per i primi tempi, la Roma sarà un’officina permanente: società da ristrutturare, monte ingaggi da snellire, squadra da ringiovanire, fatta salva la competitività. Un progetto audace ma a lunga gittata, da affidare ad un allenatore che lo condivida totalmente. Per questo le azioni di Montella possono salire. Meno affermato di Carlo Ancelotti, ma pure meno esigente.