IL TEMPO (E. MENGHI) – Anche i più forti vivono momenti di debolezza, l’importante poi è sapersi rialzare. Monchi è un uomo forte, ma è stato immortalato nel pieno dello sconforto nel salottino dei dirigenti all’interno dell’Olimpico, mentre Zaniolo in campo pareggiava la partita col Milan. Essere il direttore sportivo della Roma che subendo 7 gol a Firenze scrive una delle pagine più nere della sua storia significa portare un grosso macigno sulle spalle, ma non vuol dire che questo debba schiacciarlo. Monchi si sente il primo colpevole di questa situazione, non scansa le responsabilità, lui se le assume, anche davanti a microfoni incandescenti pochi minuti dopo l’eliminazione-beffa dalla Coppa Italia. Vive la frustrazione come un tifoso, ne paga o ne pagherà le conseguenze come dirigente.
Oggi non medita l’addio, non è tipo da fughe, ma lui stesso si mette in discussione e lascia che sia il campo a dire se merita di restare dov’è. Non sono le sirene inglesi o spagnole – si è parlato di Arsenal e Real Madrid sulle sue tracce e non ci sarebbe nulla di strano visto che fuori piace a tutti, è qui che viene contestato – sono più che altro i risultati a tenerlo appeso a un filo sottile. La sua storia con la Roma può continuare, nulla è precluso, nonostante la macchia del 7-1 che non è facile da dimenticare. C’è il 4° posto da raggiungere, l’obiettivo minimo in campionato, e ci sono gli ottavi di Champions da giocare per provare a fare qualcosa di straordinario che già una volta è riuscito a Di Francesco e, perché no, potrebbe offrire un nuovo punto di vista su questa stagione. Il tempo per cambiare le cose c’è e non c’è fretta di decidere il futuro. Monchi ha in testa solo la partita con il Chievo e spera che giorno dopo giorno, gara dopo gara, si riesca ad alzare l’asticella e a riportare i giallorossi in alto. Poco tempo fa in un’intervista (parlerà di nuovo a Verona prima del match) aveva giurato: «Resto», ma se sentirà di non meritarsi questo posto sarà il primo ad alzare la mano e a tornare a casa. Pallotta non ha dubbi su di lui, gli ha consegnato la Roma e ha delegato ogni scelta, in primis quella sull’allenatore, perché si fida del suo diesse. Monchi, dal canto suo, si è fatto una chiacchierata con la squadra ogni volta che le cose precipitavano e ha sempre ribadito che Di Francesco non andava da nessuna parte, né ieri né oggi e né domani, fino al termine della stagione resterà – salvo cataclismi – sulla panchina giallorossa, e allora dovevano essere i giocatori, responsabilizzati, a reagire in campo. E lo hanno fatto, senza il capro espiatorio più semplice da prendere di mira si sono uniti, col Milan la prestazione più del risultato è stato un segnale importante e ora serve la tanto ricercata continuità, che passa dal Chievo e dal Porto martedì, dal campionato da risalire e dalla Champions per sognare.