LA REPUBBLICA – E. SISTI – Si possono usare espressioni diverse, ma il concetto è quello. Zeman è a un bivio: a sinistra si va avanti, a destra si va a casa. Zeman è fuori sul davanzale di un palazzo alto tre scudetti e vorrebbe tanto che nessuno lo spingesse di sotto. Zeman è a rischio esonero. Forse, all’ottavo posto in classifica, questo è il crepuscolo di Zeman. Baldini lo aveva presentato con parole manzoniane: era l’uomo della provvidenza che casualmente costava anche la metà di Montella: «Noi ci meritiamo lui ma soprattutto lui si merita la Roma».
Sabato Zeman scaricava (e accusava) la società invocando un codice di comportamento scritto per Trigoria: «La disciplina dipende da chi la deve garantire», gli ha risposto Baldini. L’uomo della provvidenza è diventato un allenatore scomodo. Peccato: la vera Zemanlandia s’è vista soltanto in brevi fotomontaggi di partite mai giocate del tutto. Poi solo torbide rappresentazioni, a ritmi non sempre apprezzabili, vaghe reminiscenze di un gioco lontano, appena accennato, oppure esibito con concretezza eccessiva per durare più di 40 minuti (Fiorentina, Milan). I nuovi discepoli il Vangelo di Zeman non lo capiscono. E lui si è arreso: cambi tattici mai fatti prima, la difesa a tre, qualche allenamento cancellato. Doveva portare 50 mila persone allo stadio e assicurare bellezza e risultati. Non è successo. Non ha mai spiegato come potessero i suoi calciatori, rinforzati dai leggendari gradoni, disputare solo mezze partite e poi arrancare, confondersi, perdersi.
«Manca la concentrazione». Ma evidentemente manca anche un rimedio. L’unica certezza della Roma è di non saper garantire alcuna forma di continuità agonistica. A ottobre Osvaldo e De Rossi vennero accusati da Zeman di indolenza. Forse aveva ragione. Ma stava iniziando lo scollamento. De Rossi è diventato il caso più spinoso (ma De Rossi gioca male). Zeman ha avuto problemi anche con Burdisso, Pjanic, Stekelenburg, ha accusato Lamela d’egoismo, ha punito Marquinho. Lo Zeman più tremebondo e solo di sempre ha assistito ieri a una partita (il 3-3 col Bologna scaturito dagli errori di due difese marce) che gli ha riproposto tutti i difetti di un gruppo di livello, forse leggermente sopravvalutato, al quale il terzo posto «non deve né può sfuggire ».
La Roma era andata avanti due volte, con Florenzi (9’) per l’1-0 e con Osvaldo (17’) per il 2-1. Ma non è bastato. Il Bologna e Goicoechea si sono prodigati per arrivare sul 3-2, riuscendoci. Una rete di testa di Tachtsidis (29’ st) e i due pali che respingevano le mine di Diamanti nel finale evitavano la sconfitta giallorossa. Se in questo mezzo disastro Zeman finirà per pagarla (chi al suo posto? Tovalieri sino a fine anno e poi Allegri?), non bisognerà dimenticare l’impalpabile fragilità della società, Pallotta in formato Bob Hope e il silenzioso Zanzi, il nuovo ad. E quei giocatori da 7 che giocano sempre da 5. Almeno Zeman non s’è mai nascosto, gli altri sì. È il terzo anno consecutivo che la Roma, a metà stagione, pensa già alla successiva. Ranieri (poi Montella), Luis Enrique, Zeman.
La frattura fra Zeman e club è ormai palese. C’è aria di chiarimenti terminali (oggi). Ieri il tecnico ha dormito in treno mentre Sabatini si riguardava la partita. Forse sarebbe stato più apprezzabile il contrario. Forse si cercherà di tenere insieme i cocci per presentarsi sotto forma di vaso (rattoppato) a maggio. Persino il Cagliari, venerdì prossimo, potrebbe anticipare il risveglio e cancellare il sogno di Brunico.