IL TEMPO (A. AUSTINI) – Tenere la testa sul presente. È la missione di Spalletti che inizia a Bologna, per difendere il secondo posto e restare, quanto più possibile, vicini alla Juve. Perché non si sa mai. La Roma riparte al Dall’Ara dopo la mazzata del derby di Coppa, che ha tolto un altro obiettivo e avvicina l’ennesimo epilogo da zero titoli. «Sono state sbagliate delle singole partite – precisa Spalletti – non un periodo. Veniamo da cinque vittorie consecutive, ma siamo usciti da due competizioni a cui tenevamo. Ora c’è il traguardo più importante, che è la classifica del campionato: è in ballo il nostro futuro». Anche il suo, visto che è disposto a restare solo se riuscisse a portare a casa un titolo. Resta uno scudetto praticamente impossibile, quindi l’addio del toscano appare scritto. Sarà per questo che i suoi toni nelle conferenze stampa si stanno via via smorzando. Qualcosa, comunque, Spalletti la dice tra le righe: «Non abbiamo la rosa all’altezza della Juve ma eravamo a posto per giocarci i nostri obiettivi. Siccome ci sono dei momenti cruciali, se il risultato è stato quello probabilmente ho sbagliato le scelte. Nel calcio si impone la vittoria, ci si diverte solo se si vince, e l’allenatore deve adeguarsi. Ma bisogna parlare chiaramente ai tifosi: serve programmazione per riuscire a contendere i titoli alla Juventus, non si passa facilmente dal dire al fare. Loro hanno un vantaggio sotto l’aspetto dei soldi, della struttura societaria e del modo di ragionare. Noi dobbiamo esser bravi a diminuire questo gap e mi sembra che in questi diciotto mesi sia stato fatto. Ma i calciatori della Roma sono dei professionisti e devono impegnarsi di più».
Scossa alla squadra e autocritica, Spalletti ha messo da parte la dialettica aggressiva. Forse perché non sente più il bisogno di combattere problemi che non lo riguarderanno più. «Nel derby – spiega ancora – avevo chiesto di non prendere gol fino al 30’della ripresa per provare a giocarcela alla fine. Non ci siamo riusciti e per recuperare quello svantaggio abbiamo perso equilibrio. Ho cercato di ottenere la massima reazione parlando ai giocatori di ossessione, probabilmente è stato poco e avrei dovuto caricarli ancora di più». Non si accende neppure sulle polemiche legate all’impiego di Totti nei minuti finali. «Io purtroppo devo gestire uno spogliatoio con il ruolo che ho, nelle mie competenze c’è anche le possibilità di cambiare uno a dieci minuti dalla fine. Non voglio gestire la storia di Totti, ma quello che è il calciatore adesso. Forse l’ho fatto giocare poco, forse molto, cerco di fare le cose con più coerenza possibile, senza essere disturbato nelle scelte. Ci sono anche altri calciatori della Roma e Totti rimane ugualmente un simbolo importante per la storia di questo club». Oggi chissà se e come vorrà utilizzarlo. «Col Bologna è una partita insidiosa dove noi dobbiamo essere fortissimi. Ci siamo detti che dobbiamo essere ancora più professionali e scendere in campo col “ghigno”». Quello di chi non si è ancora arreso.