Chi siamo per davvero? Guardare le partite della Roma è come essere trasportati nel mondo di Stevenson. Questa squadra, ora si può dire quasi con certezza, soffre di un disturbo bipolare. La concentrazione, la gioia, la tristezza, il divertimento, la distrazione sono elementi che si mischiano come un cocktail, e si alternano nella Roma versione 2014/2015. Dopo il pareggio di Manchester, questa squadra non ha dato più certezze, e ogni partita ha praticamente costituito una storia a sé, senza un filo logico tra una gara e l’altra. Il 2-2 in rimonta contro il Sassuolo e in inferiorità numerica rappresenta per carità una buona prova di carattere, “questa squadra ha un’anima” dice Garcia, ma nei pochi turni in cui la Juve non prende i tre punti, bisogna vincere senza se e senza ma. Un portiere esperto come De Sanctis non può, in momenti così delicati della stagione, permettersi certi errori. La seconda rete è frutto dello shock psicologico dello 0-1, perché in un anno e mezzo di gestione francese non si ricorda un posizionamento difensivo così errato. Dopo, come è naturale che sia, la partita va da sé e riacciuffarla contro una squadra che va a mille diventa quasi impossibile. Trovo ingeneroso prendersela con De Rossi, che nella prima ammonizione mette una toppa a un’altra falla difensiva dei suoi compagni, e nella seconda commette sì una sciocchezza, ma evita lo 0-3 che non ci avrebbe permesso di agguantare neanche il pareggio finale. Stesso discorso vale per Garcia. Alle 17:59 di sabato tutti eravamo contenti del ritorno dal primo minuto di Kevin Strootman, che ricomponeva il centrocampo delle 10 vittorie consecutive dello scorso anno e che, con tutto il rispetto, è ben altra roba rispetto a Brighi, Missiroli e Taider. In attacco ha utilizzato Destro, il cui scarso impiego era stato criticato, Iturbe, acquisto più oneroso della proprietà americana (altro che turnover) e Ljajic, l’uomo più in forma dei giallorossi. E in difesa ha fatto rifiatare, giustamente, il solo Maicon, che nelle sue condizioni precarie non poteva rischiare in vista del City (Aguero docet).
Questo passo falso è figlio a suo modo del pareggio di Mosca. Con la qualificazione in tasca, il turnover sarebbe stato potuto adottare contro gli inglesi, e schierare la formazione più in forma contro i neroverdi di Di Francesco. Questa partita però è anche figlia della nostra storia. Una storia che ci vede protagonisti come la squadra “dagli appuntamenti mancati”. Nel momento in cui è necessario vincere per dare la svolta, falliamo sempre. Un problema di mentalità che non si riscontra dalle parti della Mole, e che rischia di iscrivere questa sfida nei rimpianti della stagione a campionato finito. Mercoledì servirà la partita perfetta, per dare l’ennesima (e chissà quante volte lo diremo ancora) svolta.
LE POCHE NOTE POSITIVE – Le buone notizie, strano a dirsi, arrivano dalla difesa. Florenzi conferma la sua attitudine a giocare in vari ruoli, e non molla mai fino all’ultimo, mostrando ancora una volta di avere anche i polmoni d’acciaio. Sull’altro versante conferma la sua crescita il greco Holebas, brillantissimo nella testa e nel corpo. Yanga-Mbiwa, a parte l’errore sul fuorigioco, ha dimostrato di essere un centrale su cui fare sicuro affidamento. Fiducia che fa benissimo ad Adem Ljajic, che con la doppietta diventa il capocannoniere della squadra e l’uomo inamovibile del tridente giallorosso.