IL MESSAGGERO (R. RENGA) – Una sera di maggio del 1993 Franco Sensi disse alla famiglia, e dunque a Rosella, di aver comprato la cosa cui più teneva: la Roma. In comproprietà con Mezzaroma. Qualche mese e rimase da solo: abituato a comandare, non poteva dividere l’amore con un altro. Le sue donne non la presero benissimo: che sarebbe successo? Come sarebbe cambiata la loro vita?
Rosella aveva ventuno anni. Ora è una signora di trentanove, ha un marito, una bambina dal bellissimo nome romano (romanista?): Livia. Ha conosciuto, apprezzato e amato la Roma. Da tifosa e poi da presidente, succedendo proprio a suo padre. Diciotto anni: una vita. Da ieri ha passato il testimone ad altri. E Rosella sarà un’altra. Più serena, forse. E più sola, sicuramente. Ti abitui a vivere freneticamente e sotto pressione. Ti abitui alle critiche e ne ha ricevute. Ha raccolto anche minacce, tanto che da anni sotto casa, il vecchio ufficio del padre e si vede passando per via Aurelia, c’è una macchina della polizia, sentinella silenziosa e protettiva.
Non dovrà pensare ai contratti, ai problemi tecnici ed economici della squadra, allo stadio, ai rapporti con i tifosi (tutti contro: possibile? O contro sono quelli che strillano di più?) e con le autorità. Si dice in genere che il presidente della Roma conti quanto il sindaco di Roma. Proprio Rosella tempo fa, alludendo a certe frasi di Alemanno, disse: è più difficile guidare la Roma. Un modo elegante per polemizzare.
Ora avverte il vuoto, dentro di sé e fuori. Sa che la tifoseria ha accolto bene l’arrivo di proprietari americani. Sa che su di lei girano le voci più incredibili. Fa parte del gioco, in una città in cui tutti parlano e danno giudizi, non sempre conoscendo persone e fatti. Sa, infine, di aver spesso silenziosamente lasciato che le cose andassero per la loro strada, perché sperava che la gente potesse comunque apprezzare quanto stava facendo in nome del padre, cui hanno sempre nascosto il profondo rosso in cui si trovavano Roma e Italpetroli.
Franco Sensi se n’è andato ignorando la tempesta che si scatenò attorno ai suoi tesori nel momento in cui divenne ufficiale la malattia, che l’indebolì. Mi raccomando, la Roma: disse a Rosella prima di lasciarla. La figlia è stata costretta a cambiare politica societaria e a sorridere a chi sino a pochi mesi prima aveva litigato con il padre, ma che si dimostrò, vedi Moratti e Galliani e poi lo stesso Moggi che si fece vivo con una telefonata, migliore di quanto potesse sperare.
Ieri è andata allo stadio. Da ex, ha cantato e sofferto, visto la partita e il pubblico della Roma, Totti e Montella, Conti e Pradè, le bandiere a stelle e strisce. Si è mostrata forte, facendosi forza. Ha tifato, come sempre sarà, per la Roma. Del resto, si sa: si possono amare più donne (e, nel nostro caso, eventualmente, più uomini), ma una sola squadra.
Ha scelto la strada del silenzio, perché ritiene che questi siano giorni da dedicare ai nuovi proprietari, cui lascia la Roma, non la Rometta. In questi 18 anni sono arrivati uno scudetto, sei secondi posti (due volte dovevano essere primi), due supercoppe, quattro Coppe Italia. L’augurio è che il futuro sia, se possibile, migliore. Rosella, il suo futuro, potrebbe viverlo a Milano.