CGR EDITORIAL
“Finché ci sarà la Juve, arriveremo sempre secondi, ogni volta che si giocano certe partite si verificano sempre gli stessi episodi, nel dubbio si decide sempre a loro favore”, con queste dichiarazioni Francesco Totti ha tuonato a fine gara, sfogando tutta la sua rabbia per gli episodi che hanno condizionato il risultato finale tra Juventus e Roma.
Un grido d’allarme da parte di un campione, che a 38 anni sta vivendo una seconda giovinezza fisica e calcistica, e che evidentemente avverte la sensazione che per l’ennesima volta in carriera, fattori esterni, variabili che poco hanno a che fare con il calcio giocato, gli possano sfilare il sogno di vincere il secondo scudetto, a distanza oramai di tredici anni.
Il pensiero del capitano giallorosso, celebrato a metà settimana in tutto il Mondo, per esser diventato con il suo gol al City, il cannoniere più longevo della storia della Champions League, ha chiaramente spaccato l’opinione pubblica: da una parte i tifosi giallorossi e tutti gli anti juventini ‘militanti’, che hanno ravvisato nel big match di domenica l’ennesimo furto della storia del calcio italiano, scientifico e chirurgico proprio nella sfida tra le due corazzate dell’attuale seria A; dall’altra la tifoseria juventina estremista, un blocco unito e cementato intorno alle parole dei propri tesserati, che hanno rispedito al mittente le accuse, parlando di dichiarazioni “inaccettabili” e fuori dalla realtà.
La realtà, quella concreta e oggettiva, ha visto un arbitro incapace, distruggere la bellezza di una sfida che senza errori arbitrali clamorosi, quasi certamente avrebbe regalato ai giallorossi il sesto successo consecutivo in campionato.
Scorrendo a ritroso la storia del nostro campionato, quasi ogni anno avvelenato da polemiche e sospetti – a volte divenuti poi oggetto di indagini e sentenze sportive – Totti, che anche in passato aveva a più riprese espresso dei dubbi sulla legittimità e la regolarità del nostro campionato, ha un illustre predecessore sul tema, che dovrebbe far riflettere.
Si tratta di Gianni Rivera, uno dei calciatori più forti della storia del nostro movimento, un numero 10 delizioso che per decenni ha incantato spettatori e addetti ai lavori con la maglia rossonera del Milan.
È il 12 marzo 1972, la lotta per lo scudetto è apertissima: la Juventus è in testa alla classifica, con due punti di vantaggio sulla coppia Milan-Torino. La giornata è cruciale: mentre la Juve gioca in casa col Bologna, sest’ultimo in classifica, i rossoneri sono impegnati sul campo del Cagliari, una grande dell’epoca, che li segue in classifica a un solo punto.
I locali vanno in vantaggio con Gori in avvio del primo tempo, il Milan pareggia con Bigon a inizio ripresa. A tre minuti dalla fine, quando la partita sembra ormai avviata verso il pareggio, Riva prende palla in area e cerca di liberarsi di Anquilletti con una mezza rovesciata, non riuscendovi perché la sfera colpisce l’avversario al braccio sinistro, stretto vicino al fianco. Il “mani” appare chiaramente involontario, ma l’arbitro Michelotti concede il rigore.
Gigi Riva va sul dischetto e non perdona, il Milan perde e scivola a quattro punti dalla Juve, vittoriosa sul Bologna. Il guaio è che c’è un fresco precedente: due giornate prima, nel big match di Torino con la Juventus, il Milan ha lamentato un colossale rigore a favore, non concesso da Lo Bello, che poi ha candidamente ammesso alla Domenica Sportiva, di fronte alla moviola (che muoveva allora i primi passi), il proprio errore.
Gianni Rivera davanti ai microfoni dei cronisti nel post partita si espresse così: “
Fino a quando a capo degli arbitri ci sarà il signor Campanati, per noi del Milan le cose
andranno sempre in questo modo: saremo costantemente presi in giro. Questo non è più calcio. Quello che abbiamo subito oggi è una vera vergogna. Credevo che ci avessero fregato già a Torino contro la Juventus, invece ci presero in giro a metà con l’autocritica di Lo Bello in televisione. Purtroppo per il Milan avere certi arbitri è diventata ormai una tradizione. La logica è che dovevamo perdere il campionato. D’altronde, finché dura Campanati non c’è niente da fare: scudetti non ne vinciamo.”
Rivera come Totti si sfogò contro il sistema, che agevolava i bianconeri nella vittoria finale del titolo: il campione rossonero fu squalificato dalla Commissione disciplinare
il 14 aprile 1972, e dovette scontare un periodo di stop fino al termine della stagione.
Il capitano giallorosso ora verrà quasi certamente deferito, ma se il deferimento è lo scotto da pagare per chi in maniera onesta e sincera afferma la verità, viva Francesco Totti
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