CORRIERE DELLO SPORT (A. MAGLIE) – Non pensavano certo a loro i Pearl Jam quando incisero Ten. Eppure Francesco Totti e Antonio Di Natale sono figli di una razza in via d’estinzione, una razza che si riconosceva con un semplice numero: il Dieci. Poi è arrivata la nuova numerazione, la filosofia di quel numero che ha accompagnato la carriera di alcuni Grandissimi, da Pelè a Maradona, un po’ si è perduta, travolta anche dal fatto che il Dieci è finito abusivamente su spalle che non ne onoravano lo spirito. Loro no, loro non sono «indossatori abusivi ». Lo hanno interpretato in maniera diversa, come altri hanno fatto prima di loro. Totò ha sempre pensato alla porta; Francesco, il più delle volte, al compagno da spedire verso la porta. L’interpretazione cambia, la qualità resta; l’essenza non è nel copione ma nel Genio che lo vivifica rendendolo ogni volta originale. I due stasera si troveranno davanti, l’uno contro l’altro. Quasi coetanei (tredici mesi di differenza, in tutto); diversi, semmai, nel percorso di vita. Totti da romano è diventato la quintessenza del romanista; Di Natale è friulano soltanto di adozione, ha scelto quella maglia come una missione e non l’ha abbandonata nemmeno quando i soldi, la gloria, il successo lo spingevano verso Torino, verso la Juventus. L’uno e l’altro hanno deciso che era inutile cercare l’erba più verde in altri campi, più o meno vicini.
SIMBOLI – Nell’Udinese che recluta calciatori in tutto il mondo, i volti cambiano ma alla fine resta lui, il Totò di Castello di Cisterna,«emigrato»senza valigia di cartone, l’uomosimbolo, il volto e il cuore di una Udinese che sogna di strappare il quarto posto a squadroni più titolati, più celebrati, almeno alla vigilia, prima del fischio d’avvio del campionato. Nella Roma che vive con una certa inquietudine questa fase di passaggio, tra un’éra societaria terminata e una nuovanon ancora nata, a Totti tocca il compito, spesso complicato, di rappresentare la continuità, anche la coscienza critica di una squadra che non può rassegnarsi, anche in una stagione così difficile, a un ruolo di retroguardia. L’uno, Totò, interpreta il sogno realizzabile, il raggiungimento di un traguardo all’inizio impossibile; l’altro, Francesco, la necessità di dare un senso compiuto a un’annata al momento incompiuta, caratterizzata, all’inizio, dall’ottimismo di un campionato conclusosi a un passo dalla scudetto e, adesso, dalla paura di non riuscire a raggiungere quel traguardo minimo, il quarto posto, la Champions che comincia con il preliminare, che non è solo una questione di orgoglio sportivo ma anche una necessità economica potendo consentire agli Americani di programmare il futuro con larghezza maggiore.
PRIMATI – Molto, non tutto, dipende da loro, da Totò e Francesco, dalle loro giocate, dalle loro invenzioni. Perché, come si dice, quando il gioco si fa duro, i duri ballano. E il gioco adesso è durissimo, con il campionato che ormai consente di intravedere il traguardo e il bisogno di non vanificare tutto nelle ultime sette partite di questo campionato, per gli uni esaltante per gli altri strambo. Ora i primati individuali si impastano con i successi collettivi. Totti che fra quattro gol aggancerà Roberto Baggio nella classifica dei cannonieri del campionato italiano, ha il compito, da capitano, di traghettare la squadra verso un futuro migliore per fare in modo che servano a qualcosa in nove gol fin qui realizzati in questo torneo. Di Natale, che è capitano anche lui, avverte in maniera ancora più pressante l’esigenza di dare un significato compiuto ai venticinque gol che ha segnato sino ad ora. Per tutti e due vale quel che cantavano i Pearl Jam in Black, uno dei pezzi di Ten:«Tutto l’amore è andato a male, ha trasformato il mio mondo in nero». Ecco, bisogna evitare che tutto vada a male.