Tra Rocca e Zeman. Ecco Iron Man

Tra Rocca e Zeman. Ecco Iron Man

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IL ROMANISTA (D. GIANNINI) – Chiamatelo Iron Man, come l’eroe dei fumetti della Marvel. Anzi, di più, perché quello che fa Luis Enrique non è fantasia ma realtà. C’è lui a nuotare per 3 chilometri e 800 metri e poi di seguito senza riprendere fiato a percorrere 180 chilometri in bici per poi scendere dalla sella, infilarsi le scarpe da corsa e farsi 42 chilometri, una maratona. L’Iron Man, appunto, si chiama così questa gara da matti, una gara da Luis Enrique, il probabile, molto probabile, futuro allenatore della Roma. Con queste premesse una cosa è certa: se arriverà nella Capitale i giocatori lui li farebbe faticare tanto. Come Zeman, come Francesco Rocca, forse di più. Perché lui la corsa ce l’ha nel sangue, da quando era piccolo, da quando ha cominciato a giocare a pallone. In campo era uno che correva, un’abitudine magari presa da ragazzino lungo le strade di Gijon, la città nel nord ovest della Spagna dove è nato l’8 maggio del 1970. Ha dunque appena compiuto 41 anni Luis Enrique, e da esattamente 7 ha appeso gli scarpini al chiodo. Il 16 maggio del 2004 contro il Racing Santander ha giocato la sua ultima partita da professionista. L’ultima di una carriera fatta di 400 partite totali tra Liga, Coppa del Re, Champions, Supercoppe e nazionale spagnola nelle quali ha collezionato 159 gol. Una carriera fatta di tanti successi con in bacheca 3 campionati spagnoli, 3 coppe di Spagna, 2 Supercoppe europee, un oro Olimpico e la partecipazione a 3 mondiali. Non male, abbastanza da spingere il più grande di tutti i tempi, il Re Pelè a inserirlo nella FIFA 100, ovvero la lista stilata nel 2004 di 125 professionisti (in attività o ritirati) considerati i migliori giocatori di calcio viventi. Bene, in quell’elenco in cui figurano i più grandi del calcio, compreso un certo Francesco Totti, ci sono solo 3 spagnoli: Butragueno, Raul e… proprio lui, Luis Enrique. Un grande giocatore, anche se in Italia lo si ricorda soprattutto per il quarto di finale della nostra Nazionale contro le Furie Rosse ai mondiali americani del 1994. Nei minuti finali di quel match, con gli azzurri in vantaggio per 2-1, ricevette in piena area di rigore una gomitata al volto da Mauro Tassotti, non vista dall’arbitro, ma che gli fece perdere una grande quantità di sangue. La Spagna terminò lì il suo Mondiale e anche Tassotti, a cui vennero date 8 giornate di squalifica con la prova tv. Eppure a lui e a tutti gli spagnoli la rabbia per quell’episodio non è mai andata via. C’è un titolo del quotidiano Marca a ricordarlo: «Italia, questo non si dimentica», con la foto di Luis Enrique insanguinato. E subito la mente va al possibile Roma-Milan del prossimo anno, quando i due si potrebbero incontrare di nuovo, anche se in panchina. Lo spagnolo su quella della Roma, l’altro come secondo di Allegri su quella rossonera. Sarebbe roba da vedere, una giornata tutta da vivere e raccontare. Mentre Luis Enrique è un allenatore tutto da scoprire, da mettere alla prova con il campionato italiano. Perché finora, sulla panchina del Barcellona B, ha dimostrato di avere qualità, carattere e paura di nessuno. Esattamente come da giocatore. Quando era stato capace di passare dal piccolo Sporting Gijon al Real Madrid, per poi fare il salto verso i rivali di sempre: il Barcellona. In blaugrana ci è rimasto 8 anni da giocatore, per poi proseguire come tecnico. Preso il patentino da allenatore, nel 2008-2009 gli è stato affidato il Barça B, che sarebbe la nostra Primavera, anche se in Spagna le cose sono un po’ diverse e la sua squadra gioca in Serie B. E i risultati sono arrivati subito, nel campionato appena terminato si è posizionato al quarto posto, ad un solo punto dalla terza posizione, l’ultima che garantisce la promozione. Ma che non gli sarebbe servita a nulla, perché per regolamento i due Barcellona non possono stare nella stessa serie. Insomma, in 3 anni (l’incarico lo ha assunto il 18 giugno 2008) ha convinto tutti delle sue qualità e lo scorso agosto ha rinnovato il suo contratto per due stagioni. Una è quella appena terminata, l’altra quasi certamente la farà da un’altra parte. Ma con la stessa idea di calcio che ha respirato in blaugrana per una vita. E quindi gioco offensivo e 4-3-3, o anche di più. Perché difendersi proprio non gli piace. Il suo arrivo a Roma potrebbe essere una nuova rivoluzione zemaniana, anzi una rivoluzione “guardiolana”. Perché Luis Enrique e Pep sono amici, ma l’allievo si sente pronto a schiudere le ali. E se non lo può fare al Camp Nou, allora sarà un’altra grande. Come la Roma. Per iniziare un progetto suo, come fece Pep, anche se i due sono molto diversi. Uno è più diplomatico, l’altro, Luis Enrique è più focoso, le cose non le manda a dire. Ed è per questo che il suo rapporto con la stampa non è idilliaco. Ma questo non ha impedito ai media di riconoscere le sue qualità. Quelle che gli hanno permesso di far arrivare in prima squadra un numero incredibile di giocatori già pronti per il grande palcoscenico. Una preparazione fatta di tecnica, di approccio mentale e di preparazione fisica. E qui si torna al punto di partenza, perché ai suoi ragazzi non può non aver trasmesso un po’ della sua dedizione al lavoro, un po’ del suo gusto per la fatica. Quella che a 40 anni gli fa fare la Maratona di Firenze in 2 ore 58 minuti e 8 secondi. Roba per pochi, roba per Iron Man, roba per Luis Enrique.

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