IL MESSAGGERO (P. MEI) – Quando Raffaele Ranucci lo portò via dalla Lodigiani, Francesco Totti era un adolescente. Era un’ipotesi. La Lazio lo aveva occhieggiato, ma vuoi mettere la Roma?, per un ragazzino di Porta Metronia il cui cuore aveva già scelto da che parte stare. Calcisticamente, s’intende. La storia d’amore è stata lunga trent’anni e 307 gol. E’ difficile che un amore duri così a lungo, è difficile che un calciatore segni così tanti gol; sembra ormai impossibile, poi, che lo faccia indossando sempre la stessa maglia di club. Proprio a vestirne un’altra, era solo quella azzurra.
DAL FOGGIA IN POI Trent’anni e 307 gol in 786 partite, in serie A le reti sono 250 e le partite 619. Il primo al Foggia, data 4 settembre 1994. L’ultimo non si deve ricordare: non è stato lui a scegliere quale fosse l’ultimo, lo hanno fatto altri. Eppure si trattava di gol pesanti: quelli che davano alla Roma un’altra chance da Champions, la possibilità che questa Roma con Totti semplice gagliardetto anziché bandiera, non ha avuto. E’ vero, Totti c’era ancora, ma forse alla scrivania semplicemente a far trascorrere il tempo. L’esordio lo si deve a Boskov, quello che rigore è quando arbitro fischia, un uomo di calcio grandissimo e anche un grandissimo uomo. Era il 28 marzo del 93, avversario il Brescia. Trent’anni hanno portato a tifare per la Roma generazioni intere: come disse lui il giorno dell’addio al calcio giocato, i bambini che gridavano Totti-gol adesso sono diventati padri e portano allo stadio i figli. I quali cantano anch’essi Totti-gol. Francesco è cresciuto con la Roma e nella Roma, fino a uno scudetto, fino a quel magico 2007 che l’ha visto capocannoniere e scarpa d’oro, vincitore di due coppe. E’ cresciuto incarnando sempre un certo spirito romano (romanesco? forse), rugantino e strafottente all’apparenza; generoso e ironico, tanto che quando si sentì sommerso dalle barzellette che gli cucivano addosso riciclandone dal passato, prese a raccontarle per primo lui stesso e così sminò le prese in giro. Di quelli con la puzza sotto il naso, perché non conosce i congiuntivi. Come ora perché non sa l’inglese. Vecchia frase di sapore classista dell’Avvocato Agnelli: «Anche le segretarie lo parlano benissimo».Totti è andato avanti con colpi da maestro: mica solo i gol, anche gli assist; mica solo i cucchiai, anche gli aquiloni. Nel pantheon dei suoi devoti c’è ampia libertà di scelta per quale sia stato il gol più bello: quello che gelò il Bernabeu? Quello che fece alzare in piedi Marassi? Quale cucchiaio? Ne ha sfornato un servizio d’oro. L’unico oro che gli è mancato è quello del pallone, perché la giuria che vota si affida più alla squadra che non all’individuo, altrimenti non sarebbe un rimbalzello noioso tra titolari dei Champions. «Mo’ je faccio er cucchiaio» disse andando incontro a Van der sar. Glielo fece e lo beffò. Lì per lì Van der Sar, che non parava molti rigori ma del resto il portiere della Juve non necessitava di questo atout,, non apprezzò. Ma poi ha reso l’onore delle armi al Capitano quando è andato in congedo, non per volontà sua. Rigori? Famoso anche quello che segnò, quando non c’era più tempo che per quel tiro, contro l’Australia nel 2006 mondiale. Si prese tutta la responsabilità, e l’Italia non tornò mestamente a casa ma proseguì trionfalmente fino a Berlino. Trent’anni d’amore, alti e bassi, Carlos Bianchi detto il mago della pampa (scherzavano i più è un mago, ha fatto sparire la Roma) voleva venderlo; Mazzone gli fece da calcistico papà; Zeman, Capello e poi Spalletti che lo prese di punta, nel senso che lo mise prima punta. Poi l’avrebbe preso di punta anche nella sua seconda avventura romanista, ma questa è un’altra storia. Amara.
SENZA LIETO FINE Come quella che si è appena conclusa, al Salone d’Onore del Coni. Chi più di Francesco meritava l’onore? Dal 1998 ha indossato la fascia del capitano, che gli cedette Pluto Aldair. Ora non era più il Pupone, era il Gladiatore: al mio segnale scatenate l’inferno. Lui, per la verità, ha scatenato il Paradiso nei cuori del popolo giallorosso.Tutto è contemporaneamente vivido e sfocato: 6 Unica, Vi ho purgato ancora, il selfie sotto la curva, il cameraman improvvisato, il quattro e a casa. Poi anche il tentativo di sputo a Poulsen, il calcio a Balotelli. E gli infortuni e le fortune. In trent’anni c’è stato pure il modo di vedere la mutazione del calcio. Ma Totti è stato sempre Totti. E sarà così.