IL ROMANISTA (C. ZUCCHELLI) – Loro la Roma, qualsiasi cosa accadrà in questa settimana e in quelle future, ce l’avranno sempre nel cuore. Loro sono Daniele Pradè e Elena Turra, rispettivamente direttore sportivo e capo ufficio stampa dell’As Roma. Due della vecchia guardia, se così si può chiamare, due che potrebbero essere coinvolti nei cambiamenti che riguarderanno nei prossimi tempi la società e che, a fine maggio, potrebbero abbandonare Trigoria. Due professionisti che, sabato sera a Udine, vuoi per l’importanza e la bellezza della vittoria, vuoi per quel senso di nostalgia che ti lasciano le avventure belle – per quanto difficili – che sembra stiano per terminare, si sono lasciati andare come raramente era successo durante i loro anni nella Capitale.
La prima a mettere da parte la consueta riservatezza (scambiata spesso per freddezza) è stata Elena Turra. Presente a bordo campo nei minuti finali della partita, al secondo gol di Totti è scattata in campo come e quanto i giocatori e i magazzinieri che le erano accanto in panchina. Ha abbracciato tutti quelli che le andavano incontro, per ultimo Francesco Totti, che mentre le lacrime iniziavano a scenderle sul volto, con una carezza dolcissima le ha accarezzato i capelli. A braccetto si sono diretti verso le postazioni dove le televisioni aspettavano il Capitano per intervistarlo e lei, come di consueto, si è fatta da parte. Ma la commozione non accennava a diminuire, anche se guai, dopo, a chiederle qualcosa. Era invece più loquace Daniele Pradè, un altro che pare distante anni luce dalla Roma del futuro e che, invece, continua a mettere anima e corpo in quella del presente. Cerca sempre di rispettare la formalità che il ruolo impone, ma poi ci sono serate in cui il tifoso prende il sopravvento sul dirigente. Splendido l’abbraccio con Totti e Montella, intenso quello con Pizarro, indescrivibile la camminata che ha fatto, da solo, sul campo del Friuli. Lo stadio era ormai vuoto, la partita terminata da dieci minuti, i tifosi avevano abbandonato gli spalti, presenti solo gli inservienti che sistemavano il campo e lui, il ds tifoso. Mani in tasca, sguardo basso e commosso, in quella passeggiata nel campo c’erano tutti i suoi anni di Roma. Quelli del passato, in cui Franco Sensi lo chiamò e gli diede, poco a poco, il compito di costruire una squadra da vertice, quelli del presente, in cui la figlia Rosella l’ha fatto diventare uno dei suoi più stretti collaboratori (con lo stesso scopo del padre: fare una grande squadra), e forse quelli del futuro. Fosse per lui, non se ne andrebbe. Bastava vederlo in zona mista, con un sorriso grande così e la faccia stravolta come il primo (e l’ultimo) dei tifosi per capirlo. Probabilmente a fine stagione però lavorerà altrove. Consapevole, tra errori e successi, di aver fatto e sempre e comunque il massimo per la Roma. Mettendoci l’anima e il cuore. Giallorosso ovviamente. Quello non cambierà mai. Anche se un giorno dovesse portare «il Teramo in Champions League…».